http://circolocabana.sitiwebs.com/


Non si può morire così...
Stefano Frapporti era un muratore di 48 anni. Il 21 luglio 2009 andava in giro in bicicletta quando è stato fermato da due carabinieri in borghese per un'infrazione stradale. Portato in carcere perché sospettato di spaccio non uscirà mai vivo dalla cella.

Questo blog nasce dalla volontà della famiglia di ottenere chiarezza su quel che è successo a Stefano e per chiedere che venga fatta giustizia.



ASSEMBLEA PUBBLICA TUTTI I MARTEDI' DALLE 20.00 ALLA SEDE DELL'ASSOCIAZIONE "STEFANO FRAPPORTI" IN VIA CAMPAGNOLE 22.

sabato 11 dicembre 2010

mercoledì 17 novembre 2010

mercoledì 6 ottobre 2010

"Di carcere si muore: Mirco è morto nel carcere di Belluno"

Mirco Sacchet, di 27 anni, è morto domenica 26 settembre nel carcere di
Baldenich (Belluno) dove stava scontando una pena di 2 anni.
Mirco non lo conoscevamo personalmente e non abbiamo idea del perché si
sia tolto la vita a pochi mesi dalla scarcerazione. Ma i forti dubbi dei
familiari e di chi lo conosceva ci bastano a considerarlo una vittima di
un sistema inumano e mortifero che ci rifiutiamo di considerare
“normale”.
Mirco è la 51esima persona che si toglie la vita in un carcere italiano
dall’inizio dell’anno. 180 i tentati suicidi!
Pochi giorni fa a Baldenich un ragazzo ha ingoiato un tagliaunghie per
protesta, e il 14 agosto un altro si è cucito la bocca perché non gli
curavano una gamba…
Nelle fatiscenti carceri italiane sono detenuti quasi 70000 prigionieri
a fronte di nemmeno 45000 posti, i percorsi di reinserimento sociale
sono pressoché inesistenti e l’assistenza sanitaria scarsissima.
BALDENICH NON FA ECCEZIONE: E’ UNA MERDA COME TUTTI GLI ALTRI!

La cosa allucinante è che i reati perseguiti più severamente sono
quelli che più hanno a che fare con cause profondamente sociali: è
evidente che il carcere assomiglia sempre più al “nuovo” programma
sociale previsto per i poveri.
Gran parte dei detenuti infatti sono dentro per reati di poco conto:
povera gente che qualche cambiamento legislativo farebbe uscire subito.
Il 27% dei detenuti è composto da tossicodipendenti. Il 38% da immigrati
senza documenti.
Facciamo un esempio: abolendo la legge Fini-Giovanardi sulle droghe e
la Bossi-Fini sull’immigrazione uscirebbero subito 2/3 dei prigionieri!
Altro che grandi criminali da cui difendere la società!

Noi vogliamo ascoltare le grida che vengono dal carcere, essere
solidali con chi dentro il carcere protesta per condizioni più vivibili.
Il problema non si risolve certo costruendo nuove carceri. Per invertire
questa tendenza ad una società sempre più carceraria è necessario
lottare tutti. Dentro come fuori.

*Solidarietà con i detenuti*

desideranti
desir@bastardi.net

mercoledì 8 settembre 2010

SQUARCI DI REALTÀ CARCERARIA: TRASFERIMENTI E PESTAGGI

Nata per opporsi al silenzio e all’indifferenza sulla morte di Stefano Frapporti – “non si può morire così”, “io non scordo”, “io non archivio”… – la nostra esperienza come assemblea ha incontrato la realtà del carcere. Anche perché è nel carcere di Rovereto che Stefano è stato trovato morto, qualche ora dopo il suo fermo.
Ci siamo mossi a sostegno delle proteste dei detenuti per delle condizioni carcerarie più vivibili. Le lettere che abbiamo ricevuto ci hanno fatto conoscere un mondo che si vorrebbe tenere nascosto e lontano: abusi, sovraffollamento, criminalizzazione della povertà. Abbiamo così scoperto che 2/3 dei detenuti sono dentro per reati di poco conto – insomma povera gente che qualche cambiamento legislativo farebbe uscire subito – e che le cause di tutto ciò sono profondamente sociali.
Le proteste dei detenuti e la solidarietà esterna hanno strappato dei miglioramenti. Il che ha dimostrato che i continui riferimenti da parte dell’amministrazione penitenziaria alla mancanza di personale e mezzi erano dei pretesti.
Se da una parte ha dovuto farsi carico delle ragioni della protesta, dall’altra la direttrice del carcere locale si è vendicata trasferendo lontano da Rovereto – dunque da amici e familiari – due detenute, “colpevoli” di aver mantenuto rapporti di corrispondenza e di solidarietà con l’esterno. Ed è proprio questo che si è voluto colpire: la solidarietà.
Mentre a Rovereto si trasferiscono i detenuti scomodi, altrove – come rivela il comunicato riprodotto sul retro – si eseguono pestaggi. Di fronte a tutto questo, non possiamo girare la testa da un’altra parte.
Oggi, 4 settembre 2010, mentre a Tolmezzo (Udine) si stanno svolgendo dei presìdi per denunciare un ennesimo pestaggio in carcere, vogliamo esprimere anche qui a Rovereto la nostra solidarietà nei confronti dei detenuti e delle loro coraggiose denunce.
Di fronte a simili abusi, noi pensiamo ancora una volta a quello che è accaduto a Stefano. E non ci sentiamo liberi. Ma nemmeno rassegnati. Anzi.

MARTEDÌ 21 SETTEMBRE, DALLE ORE 18,00
PIAZZA LORETO, ROVERETO

PRESIDIO INFORMATIVO SUL CARCERE
CONTRO I TRASFERIMENTI PUNITIVI


assemblea dei familiari, amici e solidali di Stefano Frapporti

nonsipuomorirecosi@gmail.com
frapportistefano.blogspot.com

venerdì 20 agosto 2010

Pestaggio in carcere a Tolmezzo

Un altro pestaggio in carcere, questa volta a Tolmezzo (Udine), i secondini manganellano un ragazzo e poi lo imbottiscono di psicofarmaci.
Qui di seguito un comunicato di alcuni detenuti.

Tolmezzo 15/08/2010
Noi detenuti della casa circondariale di Tolmezzo abbiamo deciso di scrivere questa lettera dopo l'ennesimo pestaggio avvenuto nelle carceri italiane.
Dopo i casi di Marcello Lonzi a Livorno, di Stefano Cucchi a Roma e di Stefano Frapporti a Rovereto e di tanti, troppi altri in giro per la penisola, siamo costretti a vedere con i nostri occhi che la situazione carceraria in Italia non è cambiata per niente.
Mentre da una parte ci si aspetta dai detenuti silenzio e sottomissione per una situazione inumana (quasi 70.000 prigionieri a fronte di nemmeno 45.000 posti, percorsi di reinserimento sociale pressochè inesistenti, scarsissima assistenza sanitaria, fatiscenza delle strutture ecc...) si ha dall'altra il solito trattamento vessatorio da parte del personale penitenziario, non giustificabile con la solita scusa sulla scarsità di uomini e mezzi.
Denunciamo quello che, ancora una volta, è successo venerdì 13 agosto proprio qui a Tolmezzo, dove un ragazzo, M.F., è stato picchiato con tanto di manganelli nella sezione infermeria.
Se come per altre volte i protagonisti dell'aggressione erano, tra gli altri, graduati ormai noti ai detenuti per le loro provocazioni, l'altra costante è stata la completa assenza del comandante delle guardie e della direttrice dell'istituto.
La nostra situazione è fin troppo pesante per accettare la sottomissione fisica dopo quella psicologica.
Per noi tacere oggi potrebbe voler dire ricevere bastonate domani se non fare la fine dei vari Stefano o Marcello domani l'altro.
Noi non ci stiamo e con questa nostra ci rivolgiamo a chiunque nel cosiddetto mondo libero voglia ascoltare, affinchè la nostra voce non cada morta all'interno di queste mura.

alcuni detenuti del carcere di Tolmezzo

sabato 14 agosto 2010

Presidio del 21 agosto 2010 ore 18.00

*Di carcere si muore*

*Solidarietà con i detenuti*

*Ricordando Stefano Frapporti*



Di carcere si muore.

Quando non fisicamente, si muore affettivamente, psicologicamente,
moralmente.

Le varie lettere che riceviamo dal carcere di Rovereto descrivono una
situazione invivibile e degradante. Parliamo in particolare della sezione
femminile.

Questa è la realtà quotidiana: ore d’aria in meno rispetto a quelle
previste, celle chiuse tutto il giorno, mancanza di personale medico,
sovraffollamento, cibo immangiabile, disposizioni arbitrarie che riducono al
minimo il vestiario consentito, prodotti necessari – ad esempio per l’igiene
intima – dai costi altissimi (per la gioia delle ditte che li forniscono). A
questo quadro si aggiungono i sempre più frequenti rifiuti da parte del
magistrato di sorveglianza di concedere liberazioni anticipate e misure
alternative a chi ne avrebbe diritto.

Allargando lo sguardo oltre le condizioni carcerarie stesse, è evidente che
il carcere assomiglia sempre più al “nuovo” programma sociale previsto per i
poveri. Il 27% dei detenuti è composto da tossicodipendenti. Il 38% da
immigrati senza documenti. Facciamo un esempio: abolendo la legge
Fini-Giovanardi sulle droghe e la Bossi-Fini sull’immigrazione uscirebbero
subito 2/3 dei prigionieri! Altro che grandi criminali da cui difendere la
società!

Il problema non si risolve certo costruendo nuove carceri. Per invertire
questa tendenza ad una società sempre più carceraria è necessario lottare
tutti. Dentro come fuori.

Sarà anche questo il nostro modo per ricordare Stefano Frapporti e l’arresto
che lo ha ucciso.



*SABATO 21 AGOSTO, DALLE ORE 18,00*

*PRESIDIO SOTTO IL CARCERE DI ROVERETO*

*Musica, interventi, microfono aperto*




*assemblea dei familiari, amici e solidali di Stefano Frapporti*


nonsipuomorirecosi@gmail.com

frapportistefano.blogspot.com

mercoledì 4 agosto 2010

AVVISO AI LETTORI

Questo blog è stato ideato per fornire informazioni e pubblicizzare le iniziative. Chi fosse interessato ad uno scambio di opinioni può venire all'assemblea o qualora non potesse può scrivere un'e-mail a nonsipuomorirecosi@gmail.com

giovedì 29 luglio 2010

Genova, 17-18 luglio 2010 - testo dell'intervento.

Le morti “oscure” di cui stiamo parlando in questi incontri, purtroppo, non sono un fatto nuovo. La storia dello Stato italiano è costellata di morti “sospette”, avvenute in carcere così come in caserme o questure, archiviate come suicidi o ufficialmente prodotte da fatali cadute (da finestre, scale, ... e così via). In qualche caso queste morti hanno suscitato, soprattutto da parte dei familiari, indignazione, denunce, lettere ai giornali, richieste per accertare una verità che molto spesso era scritta su quei corpi, risultato palese di violenze inferte su persone ristrette fisicamente. Da parte delle istituzioni la risposta, nel migliore dei casi, è stata quella di delegare le indagini alla magistratura, con la consapevolezza di poter facilmente ottenere un’archiviazione. Non c’è notizia di alcuna autorità istituzionale che, di fronte al recente aumento di queste morti nonché all’uso esplicito e ricorrente della violenza da parte delle forze dell’ordine, abbia pensato di rinunciare all’incarico per motivi di coscienza.

...........

Leggi l'intervento completo cliccando qui

venerdì 9 luglio 2010

Genova, 17-18 luglio 2010 "Vittime di Stato, quale giustizia?"

Sabato 17 luglio ore 16.30 - "CARCERE e ALTRI LUOGHI DI DETENZIONE"

...Le canzoni di Alessio Lega e Marco Rovelli



Aldo Bianzino - Giuseppe Bianzino

STEFANO FRAPPORTI - "Assemblea parenti, amici e solidali di Stefano Frapporti"

Stefano Cucchi - I genitori di Stefano

Giuseppe Uva - Lucia Uva


L’autore legge pagine da Impìccati! Storie di morte nelle prigioni italiane, di Luca Cardinalini


Clicca qui per il programma completo

mercoledì 7 luglio 2010

Padova - 35° Suicidio in carcere dall'inizio dell'anno

fonte: mattino di padova

Santino Mantice aveva 30 anni e avrebbe terminato di scontare la pena a settembre. E' il trentacinquesimo detenuto suicida quest'anno, il 590° caso avvenuto nelle carceri italiane dal 2000 a oggi
PADOVA. Un detenuto italiano di 30 anni si è suicidato nella casa di reclusione di Padova. Santino Mantice - secondo quanto riferito da Francesco Morelli dell'Osservatorio permanente sulle morti in carcere - si è tolto la vita impiccandosi nella sua cella. Avrebbe terminato la pena fra tre mesi.

Nel solo mese di giugno - rileva l'Osservatorio - nelle carceri italiane si sono impiccati sei detenuti, oltre a un detenuto in stato di semilibertà che si è suicidato, impiccandosi a un albero in provincia di Bolzano, quando ha saputo di dover tornare in carcere, e un giovane immigrato che ha compiuto il gesto estremo nella cella di sicurezza della Questura di Agrigento.

Dall'inizio dell'anno sono 29 i detenuti suicidi per impiccagione, mentre sei sono morti asfissiandosi con il gas delle bombolette. Il suicidio di Mantice è il 590° avvenuto nelle carceri italiane dal 2000 a oggi.

giovedì 24 giugno 2010

Perugia 25-26 giugno 2010

LIBERTA’ E SICUREZZA: ma per chi?

Il Comitato Verità e Giustizia per Aldo Bianzino, promuove due giorni di confronto e riflessione su carcere e sicurezza, proibizionismo, informazione e ruolo dei mass media nella creazione dello stigma, il 25 e il 26 giugno 2010

25 Giugno 2010, ore 17.00 Sala della Vaccara, Piazza 4 Novembre, Perugia


Incontro con i familiari e i comitati delle vittime della violenza di Stato

Partecipano: i familiari e il Comitato Verità per Aldo Bianzino, i familiari di Stefano Cucchi, Assemblea dei parenti, amici e solidali di Stefano Frapporti, Don Andrea Gallo, Comitato "Amici di Alberto Mercuriali", Cristina Gambini, sorella di Luca, morto nel reparto S.P.D.C. di Perugia, Checchino Antonini - Giornalista di Liberazione.


25 Giugno 2010, ore 22.30 Centro Sociale Ex-Mattatoio, Via della Valtiera, Ponte San Giovanni, Perugia

Serata benefit: Reggae DanceHall con One Love hi Powa e concerto dei
Rocco Reggae

26 Giugno 2010, ore 9.30 - 17.00 Casa dell'associazionismo, Via della Viola n°1, Perugia

Una Giornata di riflessione e approfondimento su carcere, sicurezza, proibizionismo, informazione

ore 9.30 - 11.00 Focus 1: Istituzioni Totali - Carceri - Psichiatria

Partecipano:

Nicola Valentino - editrice Sensibili alle foglie

Stefano Anastasia - Ass. Antigone e Forum Droghe

Operatori del C.A.B.S. (Centro a Bassa Soglia)Perugia

Giuseppe Tarallo - Comitato Verità e Giustizia per Francesco Mastrogiovanni

Coffee Break

ore 11.30 -13.30. Focus 2: Informazione “dopata”- il ruolo dell'informazione nella creazione dello stigma e dell'insicurezza

Partecipano: Guido Blumir - Sociologo e pres. Comitato Libertà e Droga

Anna Pizzo - Carta

Comitato "Amici di Alberto Mecuriali"

Luca Cardinalini - Giornalista


Pausa Pranzo

ore 15.00 - 17.00. Focus 3: Buone pratiche di riduzione dei rischi e di autodifesa da abusi, repressioni e pestaggi

Partecipano: Max Lorenzani - Livello 57 - Alchemica

Osservatorio Antiproibizionista Pisa

Elia de Caro - Avvocato

Sportello Legale - Roma

Alessandro Mefisto Buccolieri - Million Marijuna March

Alberto Sciolari - Pazienti Impazienti Cannabis

26 Giugno 2010, ore 18.00 Partenza Piazza Partigiani, Perugia

Manifestazione contro le violenze di Stato


Clicca qui per il sito "Verità per Aldo"

mercoledì 16 giugno 2010

Per chi suonano le sbarre

Dal carcere di Rovereto alcune detenute ci scrivono parlando della situazione invivibile in cui versano.
Sovraffollamento (6 detenute in una cella di 3 metri per 5), carenza di personale medico (per via dei continui autolicenziamenti), riduzione delle ore d’aria (2 al giorno invece delle 6 previste dal regolamento penitenziario), costante ritardo nella somministrazione delle terapie, cibo immangiabile.
Le leggi sulla clandestinità come reato, sulla criminalizzazione delle droghe e l’aumento di pene per i recidivi stanno riempiendo le carceri. Degli esempi emblematici: a Rovereto una ragazza è stata condannata a 4 mesi di detenzione per il furto di due birre in un supermercato... Stefano finito in carcere senza ragione è morto nel giro di poche ore.

La tendenza è chiara: si vogliono risolvere i problemi sociali carcerando sempre più poveri.
Dal 23 al 25 maggio i detenuti hanno protestato rifiutando il cibo dell’amministrazione penitenziaria e battendo le sbarre per tre volte al giorno. La protesta si è estesa poi anche al carcere di Trento.
Presìdi spontanei, rumorosi e solidali hanno portato da fuori un po’ di appoggio.
Facciamo sentire ai detenuti in lotta che non sono soli.

Lunedì 21 giugno, dalle ore 18,00 alle 20,00
Presidio di solidarietà sotto il carcere di via Prati a Rovereto


Musica e microfono aperto
Invitiamo in particolare parenti e amici dei detenuti a partecipare


Assemblea dei parenti, amici e solidali di Stefano Frapporti
nonsipuomorirecosi@gmail.com
frapportistefano.blogspot.com

mercoledì 2 giugno 2010

mercoledì 26 maggio 2010

venerdì 21 maggio 2010

Caso Riccardo Rasman - udienza appello 26 maggio 2010

Dal settimanale "Panorama"


Il caso di Riccardo Rasman nuovamente in tribunale; i poliziotti, già condannati per omicidio colposo, fanno ricorso in appello contro la sentenza.

Leggi l'articolo di Panorama premendo qui.

76 morti in carcere dall'inizio dell'anno

fonte: rassegna.it

Da gennaio a oggi sono 21 i reclusi che si sono tolti la vita. L’ultimo suicidio il 19 maggio nell’istituto di Reggio Emilia. Sei vittime per avere inalato gas dalle bombolette, 49 i deceduti per malattia. ....

Per leggere l'intero articolo, clicca qui.

sabato 15 maggio 2010

Archiviato il caso "Lonzi"

Da: marcellolonzi.noblogs.org

«Non ci sono responsabilità di pestaggio del detenuto Marcello Lonzi, né da parte della polizia penitenziaria, né di terzi. Marcello Lonzi è morto per un “forte infarto”»......

Per leggere l'articolo completo, clicca qui

giovedì 13 maggio 2010

LA MORTE DI STEFANO FRAPPORTI: DAI VERBALI ALL’ARCHIVIAZIONE DELL’INCHIESTA




Da dieci mesi denunciamo i soprusi, le contraddizioni, le lacune e le menzogne che avvolgono la morte di Stefano Frapporti.
Nonostante le ragioni di una mobilitazione che ha coinvolto centinaia di persone, la magistratura ha archiviato l’inchiesta sul caso, distruggendo persino i flaconi contenenti il sangue di Stefano che l’avvocato della famiglia Frapporti aveva chiesto di poter fare analizzare.
Ora che la vicenda dal punto di vista giudiziario è chiusa, l’avvocato racconterà luci e ombre di tutta questa tragica storia.
Un’occasione importante. Per sapere. Per non dimenticare. Perché così non si muoia mai più.

GIOVEDI’ 20 MAGGIO, ore 20,30
SALA FILARMONICA, ROVERETO

CONFERENZA/ DIBATTITO
con l’avvocato Giampiero Mattei di Trento


Nel corso della serata verrà presentata pubblicamente la proposta di una rete di autodifesa contro violenze e soprusi delle forze dell’ordine.

Organizza
l’assemblea dei parenti, amici e solidali di Stefano Frapporti
nonsipuomorirecosi@gmail.com
frapportistefano.blogspot.com

domenica 2 maggio 2010

Roma 8 maggio 2010 - incontro dibattito

Sabato 8 maggio, alle ore 17.30, si terrà presso la Casetta Rossa – Via Magnaghi 14 (Quartiere Garbatella) – un incontro-dibattito sul seguente tema:

<< Legge sugli stupefacenti, carcere,

violenze sui detenuti, archiviazioni:

che fare? >>



Parteciperanno, fra gli altri, alcuni membri dell’Assemblea “NON SI PUO’ MORIRE COSI’”: Familiari, Amici e Solidali di Stefano Frapporti di Rovereto (TN), che hanno dato vita, negli ultimi mesi, a numerose iniziative a sostegno dei diritti dei detenuti e contro le “archiviazioni facili” dei tanti casi di morti sospette avvenute in carcere o in seguito a procedimenti di arresto da parte delle forze dell’ordine in base alla vigente disciplina sugli stupefacenti.

A seguire, l’Assemblea Familiari, Amici e Solidali di Stefano Frapporti invita tutte le compagne e i compagni intervenuti alla Rappresentazione teatrale dal titolo:

<< Come è morto Stefano Frapporti? >>

che delinea i possibili scenari della tragica vicenda di Stefano, ponendo in evidenza le contraddizioni, le lacune, le omissioni della versione ufficiale.



Tale rappresentazione si terrà alle ore 21.00 presso il

Teatro 15 – P.za Giovanni da Triora, 15 (Quartiere Garbatella).

L’ingresso è libero.





Non si può morire così
Familiari, amici e solidali di Stefano Frapporti

email : nonsipuomorirecosi@gmail.com
sito Web : http://frapportistefano.blogspot.com

Roma 8 maggio 2010 - rappresentazione teatrale

martedì 27 aprile 2010

domenica 18 aprile 2010

Un fatto poco normale

Da otto mesi a Rovereto (Trento) sta accadendo. Persone diverse tra loro – per idee, per esperienze, per percorsi di vita – s’incontrano ogni settimana, accomunati da qualcosa di semplice e apparentemente poco normale. Una volontà, un sentimento, un impegno che stanno tutti in queste parole: “Non si può morire così”.
In fondo la morte di Stefano Frapporti, ucciso da un arresto il 21 luglio 2009, a Rovereto, avrebbe potuto cadere nel silenzio e nell’indifferenza generali, come un tragico lutto privato. Purtroppo le ingiustizie, i soprusi, le sopraffazioni sono fatti normali, tremendamente normali. E normale è rassegnarsi. “Cosa posso farci io?”, ci si chiede, e in questa domanda spesso la coscienza, sola di fronte alla normalità del mondo così com’è, rinuncia a se stessa. ...

Per visualizzare tutto il documento clicca qui :

Avviso importante

Abbiamo saputo di alcune iniziative prese in nome di Stefano Frapporti, tra cui una raccolta di fondi via internet, che non c’entrano nulla con l’assemblea dei familiari, amici e solidali di Stefano Frapporti.
Noi non abbiamo avviato alcuna raccolta fondi via internet.
Per evitare confusioni e speculazioni, le iniziative dell’assemblea sono quelle pubblicizzate dal blog frapportistefano.blogspot.com, a cui nel dubbio rinviamo per conferma.
Diffidiamo chiunque dallo speculare sulla morte di Stefano.

lunedì 29 marzo 2010

''Vogliamo giustizia''

A Repubblica Tv parlano Lucia Uva e Ilaria Cucchi, le sorelle dei due uomini morti in ospedale dopo essere stati fermati da carabinieri e polizia.

Cliccare qui per vedere il video

mercoledì 17 marzo 2010

Manifestazione

UN SENTITO GRAZIE AI POLITICI DELLA NOSTRA CITTA’

Grazie, per esservi interessati a una tragedia che ha colpito un nostro concittadino;


grazie, per esservi esposti con il coraggio che vi contraddistingue al fianco dei familiari che chiedevano luce su quanto è accaduto;


grazie, per aver avuto il coraggio di parlare anche a rischio di perdere voti;


grazie, per averci dimostrato di non vivere in uno stato di polizia e che l’operato delle forze dell’ordine può essere messo in discussione;


grazie, per non esservi trincerati dietro l’autonomia della magistratura solo perché, visto il caso che “scotta”, vi faceva comodo;


…non essendo venuti a mendicare nulla, per lo meno non ci potete multare, né allontanare…




NOI NON ARCHIVIAMO NEMMENO IL VOSTRO SILENZIO.







Assemblea dei parenti, amici e solidali di Stefano Frapporti.



FIP VIA VERDI 10/3/10

giovedì 11 marzo 2010

VERGOGNA !

IL TRIBUNALE ARCHIVIA IL CASO FRAPPORTI
NOI NO

Lo stesso magistrato (De Angelis) che aveva convalidato l’arresto di Stefano Frapporti ha condotto l’indagine sulla sua morte, richiedendo poi l’archiviazione del caso. Un altro giudice di Rovereto (Dies) – cioè un collega del primo, con cui probabilmente pranza assieme tutti i giorni – ha accolto la richiesta di archiviazione. Insomma, l’ennesima autoassoluzione di Stato.

Le mille contraddizioni dei verbali di arresto, le omissioni, l’incredibile tesi secondo cui Stefano si sarebbe suicidato anche se non fosse stato arrestato (per via delle impercettibili tracce di cannabis trovate nel suo sangue – forse per uno spinello fumato una settimana prima –, considerate dall’esperto tossicologo causa del suo “tracollo emotivo”...) non sono sembrate strane al giudice Dies.
Altri giudici, d’altronde, non trovano strano che venga dichiarata “naturale” la morte di un detenuto col corpo completamente tumefatto (vedi il caso di Stefano Cucchi). Si può nascondere anche la verità più evidente.

Se costoro pensano di chiudere la morte di Stefano in un armadio del tribunale, si sbagliano.
Centinaia di persone qui a Rovereto e non solo sanno che la versione ufficiale fa acqua da tutte le parti.
Noi non archiviamo.
Per Stefano.
Per tutti.
Per mio fratello, per tuo figlio.
Perché così non si muoia mai più.

Non si può morire così
assemblea parenti, solidali e amici di Stefano
nonsipuomorirecosi@gmail.com
frapportistefano.blogspot.com

SABATO 20 MARZO, ore 16,00
PIAZZA LORETO, ROVERETO
MANIFESTAZIONE

(volantino distribuito a Rovereto durante le iniziative dell’ultimo periodo: blocchi del traffico a singhiozzo del 3 e del 4 marzo, mercatino del 6 marzo)

lunedì 8 marzo 2010

martedì 2 marzo 2010

Rappresentazione teatrale - Marghera - VE


Domenica 7 marzo 2010 ore 20.30
Auditorium "Monteverdi"

piazzale Giovannazzi-angolo via Ulloa
MARGHERA - VE -

lunedì 22 febbraio 2010

Carcere. I famigliari dei detenuti morti chiedono allo Stato risposte

Le associazioni e alcuni parlamentari insieme ai parenti dei detenuti hanno promosso una conferenza stampa in Senato dal titolo “Quando lo stato sbaglia: Casi, storie e proposte”


Troppi morti nelle carceri italiane: 1.579 solo negli ultimi 10 anni. Oltre 500 suicidi, altrettanti casi sui quali la magistratura ha aperto un’inchiesta. Ma quando lo Stato sbaglia, quando non riesce a garantire la vita a persone detenute, dovrebbe almeno dare delle risposte chiare e oneste ai loro famigliari. Le associazioni ed alcuni parlamentari denunciano da tempo il dramma delle troppe morti in carcere, ma adesso anche i famigliari dei detenuti hanno trovato il coraggio di darsi voce e terranno una conferenza stampa in Sala Stampa del Senato. Finora erano stati “esclusi”, erano gli “ultimi” anche loro, ma hanno cominciato a farsi sentire, anche grazie anche a un’informazione giornalistica finalmente attenta, che ce li ha mostrati come sono, cioè “persone perbene”, persone “come noi”. In tanti si sono fatti avanti per chiedere allo Stato risposte “chiare e oneste” sulla morte dei loro cari e saranno presenti alla conferenza stampa: Rudra Bianzino, Clara Blanco, Adriano Boccaletti, David Boccaletti, Rita Calore, Maria Ciuffi, Mario Comuzzi, Ilaria Cucchi, Antonietta Di Sarro, Francesca Dragutinovic, Patrizia Favero, Rosa Federici, Ida Frapporti, Martina La Penna, Angela Lescai, Bruno Martini, Giorgio Naccari, Anna Petrillo, Roberto Poli, Cristiano Scardella, Ezio Sobrero, Fabio Tittarelli, Laura Traviotto. I figli, fratelli, padri, di queste persone sono entrati in carcere, da vivi e sani, e ne sono usciti morti: cos’è successo mentre erano sotto la “custodia” dello Stato? hanno subito violenze? hanno avuto una malattia e non sono stati curati? Domande che loro da anni pongono, ma che non hanno avuto risposta o, più spesso, hanno avuto “risposte” che non hanno chiarito quasi nulla. La garanzia del diritto alla vita per chi è privato della libertà passa anche attraverso le risposte che le istituzioni del nostro Paese vorranno dare a questi cittadini. Infatti, quella che viene posta è una questione di cittadinanza, di rispetto dei diritti civili, più ancora che un richiamo alla trasparenza delle carceri, e di quello che avviene al loro interno, che pure è importante, in un momento in cui le condizioni di vita delle persone detenute sono davvero sempre meno rispettose di un altro diritto, quello a non subire trattamenti disumani o degradanti. Ma non solo, per i parenti dei detenuti morti in condizioni non chiarite è una questione “d’onore”, è la possibilità di dare una morte rispettabile ai propri cari. Per “morte rispettabile” intendono il poter rispondere in futuro in modo chiaro e univoco sulle cause e sulle modalità di quella morte. È come se un parente chiedesse alle istituzioni “Cosa risponderò ai miei figli quando mi domanderanno come è morto quel nostro famigliare in carcere?” e non avesse mai una risposta, e fosse costretto a spiegare che una istituzione che non tutela il diritto alla vita e alla salute dei propri cittadini in carcere è un’istituzione che non tutela i diritti di tutti. Che non risponde perché non è capace di prendersi le proprie responsabilità, che non sa di avere una responsabilità. Eppure le istituzioni della giustizia, proprio perché dovrebbero seguire le persone condannate in un loro percorso di assunzione di responsabilità rispetto al reato, e alle vittime di quel reato, dovrebbero anche, per prime e con coraggio, rispondere in modo responsabile a tutti i cittadini, e primi fra tutti a quei famigliari che hanno perso un loro caro, morto “di carcere”. Saranno presenti alla conferenza stampa, per sostenere le richieste dei famigliari dei detenuti Emma Bonino, vice presidente del Senato; Rita Bernardini, deputata, membro della Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati; Ignazio Marino, Presidente della Commissione d’inchiesta parlamentare sul caso Cucchi; Donatella Poretti, senatrice e segretaria della Commissione Igiene e Sanità al Senato; Irene Testa, segretaria dell'Associazione radicale “Il Detenuto Ignoto”; Alessandro Gerardi, avvocato di “Radicali Italiani”; Ornella Favero, direttore di “Ristretti Orizzonti”; Laura Baccaro, criminologa, co-autore del libro “In carcere, del suicidio e altre fughe”.

Lettera aperta di Giuseppe Bianzino

da veritaperaldo.noblogs.org

Il caso recente di Stefano Cucchi e, quello ancor più recente, di Giuseppe Saladino a Parma (Il Manifesto dell'11 novembre), hanno richiamato l'attenzione sui casi di Marcello Lonzi e di mio figlio Aldo Bianzino, anch'essi morti in carcere in circostanze tutte da chiarire (chissà quando e sopratutto se). Ora, volendo esaminare il caso di Aldo, bisogna precisare alcune cose.
Il P.M. dott. Giuseppe Petrazzini, che aveva fatto arrestare Aldo e la sua compagna la sera del venerdì 12 ottobre 2007, è lo stesso magistrato che ha in carico le indagini sul suo successivo decesso avvenuto nella notte tra il 13 e il 14. Aldo era stato messo in cella di isolamento nel carcere "Capanne" di Perugia. Era stato visto da un medico, che l'aveva riscontrato sano e da un avvocato d'ufficio, col quale aveva parlato verso le 17 di sabato. Non sono disponibili registrazioni di telecamere su ciò che è avvenuto successivamente, né, dopo il decesso, la cella risulta sia stata isolata e sigillata, né che siano stati chiamati per un intervento i reparti speciali di indagine dei carabinieri. A detta degli altri detenuti del reparto, durante la notte Aldo aveva suonato più volte il campanello d'allarme ed aveva invocato l'assistenza di un medico, sentendosi anche, pare, mandare al diavolo dall'assistente del corridoio, la guardia carceraria Gian Luca Cantore, attualmente indagato. Fatto sta che verso le 8 del mattino di domenica le due dottoresse di turno, arrivate a svolgere il loro turno di servizio, trovarono il corpo di Aldo, con indosso solo un indumento intimo (e siamo a metà ottobre, non ad agosto). I suoi vestiti si trovavano nella cella, accuratamente ripiegati (cosa che Aldo, in 44 anni, non aveva fatto mai). Le due dottoresse provarono di tutto per rianimarlo, ma alla fine dovettero desistere: Aldo era morto. L'autopsia, svoltasi il giorno dopo, diede risultati controversi: si parlò prima di due vertebre poi di due costole, rotte, poi tutto fu negato. Di certo ci fu un'emorragia celebrale e un'altra di 200 ml., al fegato. Segni esterni di percosse o violenze, nessuno (i professionisti sanno come si fa C.I.A. insegna). Ora, l'emorragia cerebrale è stata amputata ad un aneurisma, quella epatica ad un maldestro tentativo di respirazione artificiale, che le due dottoresse respingono nel modo più assoluto (e ci mancherebbe, si tratta di medici, mica di personale non qualificato), ma nessun altro ha affermato d'aver fatto tentativi in tal senso. Ora, può accadere quando si è nelle mani delle "forze dell'ordine", lo abbiamo purtroppo visto in molti casi, basterebbe pensare al G8 di Genova, e magari al colloquio recentemente intercettato nel carcere di Teramo (i detenuti non si massacrano in reparto, ma sotto!). L'emorragia cerebrale potrebbe benissimo essere stata la conseguenza di uno stress per colpi ricevuti in altre parti del corpo, immaginatevi l'angoscia e il terrore di una persona in quelle condizioni. In ogni caso credo proprio di poter dire in tutta coscienza che Aldo è stato assassinato in un ambiente violento e omertoso, del quale non si riesce neppure a sapere i nomi del personale presente quella notte nel carcere. Quanto al dott. Petrazzini, mi sembra che dignità gli imporrebbe di passare ad altri il suo incarico, date le omissioni, invece di insistere come sta facendo, per ottenere l'archiviazione del caso.
Ma i veri assassini sono coloro che hanno voluto ed ottenuto una legge sulle "droghe" come l'attuale, persone che nella loro profonda ignoranza considerano in modo globale, senza distinzioni. Una legge fascista e clericale, da stato etico e peggio, da stato che manda in galera (con le conseguenze che si sono viste) il poveraccio che coltiva per uso personale qualche pianta di cannabis, mentre, se la droga (quella pesante, cocaina o altre sostanze) circola nei festini dei potenti, non succede nulla. Vorrei dire comunque che un paese che considera delitto la detenzione e l'uso di droghe, magari solo marijuana, o l'essere "clandestino", pur non avendo colpe e quasi sempre per sfuggire a condizioni di vita impossibili, uno stato che avendo preso in custodia delle persone, è responsabile a tutti gli effetti delle loro vite e della loro salute, uno stato che non riconosce come reato gravissimo la tortura, uno stato che difende i forti e i potenti e non i deboli, è uno stato che non può ritenersi civile e non può chiedere ai suoi cittadini (o sudditi?) di amare la propria patria.
Ci auguriamo che altri blog e altri siti vogliano riprendere questa lettera denuncia e contribuire ad impedire che il buio nasconda la vicenda di Aldo Bianzino e quanto accAdrà nelle prossime settimane nelle aule di quel tribunale.

Video per non dimenticare

venerdì 19 febbraio 2010

Quando sbaglia lo Stato uccide.
Roma, 16 febbraio 2010


Il butano non spacca il naso, non spezza le dita...«Maria Eliantonio mostra le foto di Manuel, suo figlio di 22 anni ucciso a Marassi. “Suicidato” dice la verità ufficiale ma lei non ci può credere. Sarebbe uscito pochi giorni dopo e, poche ore prima di crepare aveva scritto che lo riempivano di botte e psicofarmaci. Come Maria, una piccola folla di donne e uomini ha potuto raccontare - ieri alla sala stampa del Senato - la propria vicenda di parenti di vittime di malocarcere, cattiva giustizia e ferocia di forze dell’ordine o di ospedali psichiatrici. Ognuno aveva con sé foto, faldoni, carteggi. E un dolore raccontato mille volte per anni. Un massacro come quello che ha subito suo figlio Riccardo, Duilio Rasman, 84 anni, le aveva viste solo in tempo di guerra: sei poliziotti gli sono saltati addosso e quel ragazzo tornato “strano” dal militare s’è schiantato. Cristiano Scardella lo racconta da 25 anni il “suicidio” di suo fratello Aldo, finito dentro innocente e mai più uscito. Nessuno ha mai chiesto scusa. La madre di Riccardo Boccaletti spiega la morte lenta, «annunciata» del suo ragazzo in galera a Velletri, disidratato e rimpinzato di psicofarmaci. Anche la madre di Katiuscia Favero non crede al “suicidio” di sua figlia, 12 giorni prima di uscire dall’Opg di Castiglione delle Stiviere: aveva la tuta sporca d’erba ma le suole asciutte e non poteva essersi impiccata a una rete da pollaio. Qualcuno ha fatto sparire il certificato ginecologico che provava gli abusi nella struttura. Anche la sorella di Stefano Frapporti non riesce a credere che, dopo due ore in mano ai carabinieri suo fratello si sia ucciso col laccio di una tuta spuntata chissà da dove. Rita e Ilaria Cucchi, madre e sorella di Stefano annunciano l’ultimo mistero: dov’è la tac? Perché quattro mesi dopo Stefano non può riposare in pace? La madre di Marcello Lonzi ha mandato una lettera per ricordare la sua lotta per riaprire l’inchiesta sulla morte alle Sughere di suo figlio.
Quando lo Stato sbaglia, uccide. Irene Testa, che ha convocato la piccola folla dolente, è la segretaria dell’associazione radicale “Il detenuto ignoto”. Chiede che si faccia luce su questi e altri casi magari con una commissione ad hoc del Senato e si unisce al digiuno della deputata Bernardini che da due settimane chiede che si apra un serio dibattito sul carcere. Dov’è finito lo stuolo di deputati bipartisan che - due mesi fa - si facevano belli intorno alle foto di Cucchi massacrato? L’assenza di un’autentica sinistra parlamentare (e di un movimento di massa fuori) si avverte ma non c’è nessuno a evocarla. «La strada sarà lunga», dice Emma Bonino alla platea di familiari coraggiosi, quasi soli e disperati.
Poche ore dopo arriva la notizia di un tentato suicidio al un venticinquenne tunisino che dalla fine di gennaio si trovava recluso al Cie di Ponte Galeria: è montato in cima al cancello della gabbia e poi si è gettato al suolo. Aveva già tentato il suicidio venerdì. Succede due volte al giorno nelle carceri italiane e le morti violente sono 4 volte più che negli Usa.

Checchino Antonini

in data:17/02/2010

giovedì 18 febbraio 2010

Rappresentazione teatrale




Sabato 20 febbraio 2010 - Bologna Teatro San Leonardo - ore 20.30

Venerdi 26 febbraio 2010 - Trento Sala circoscrizionale via Perini 2 - ore 20.30

mercoledì 10 febbraio 2010

lunedì 8 febbraio 2010

da "Questo Trentino"

Il periodico "Questo Trentino" ha pubblicato un articolo di Fabrizio Rasera sulla nostra rappresentazione.

mercoledì 27 gennaio 2010

Partita l'iniziativa "Aiutiamo anche LORO a non dimenticare Stefano Frapporti".


Le cartoline con le bandiere verranno spedite agli indirizzi stabiliti in assemblea : tribunale, carcere e caserma dei carabinieri. Dell'iniziativa sono stati informati anche gli organi di stampa e la RAI di Trento.

domenica 24 gennaio 2010

Che cos'è un omicidio di stato ? - articolo di Fabrizio Dentini su "Secolo XXI"

Verità e giustizia chiedono i familiari delle vittime.

Nell’Italia del XXI secolo ci troviamo a fare i conti con pratiche che hanno il loro punto di origine nella costituzione dello stato moderno. La detenzione, associata al silenzio burocratico (alle sue plurime interpretazioni) e all’agire delle forze di polizia, ha dato luogo, nel corso della storia italiana, a numerosi casi di morte di persone sotto la tutela dello Stato e sotto la regolamentazione delle sue leggi.

Può capitare infatti, che un cittadino di questo paese, in funzione delle leggi vigenti, venga sottratto per un lasso di tempo alla sua autonomia e non torni più indietro.

Non torni più a casa dai suoi cari. E il vuoto che lascia risulta molto difficile da riempire in termini di presa di coscienza collettiva.

Perché queste morti sono talmente assurde che farle diventare rappresentative di una patologia democratica è un compito che i soli familiari non possono supportare.

Sabato 16 Gennaio, a Livorno, si sono date appuntamento le persone sensibili a quest’ aspetto della vita democratica: un luogo dell’esperienza, che difficilmente sale a destare l’interesse comune. Perché chi incorre in queste dinamiche spesso non ha né voce né il diritto di averla.

E’ servita una morte esemplare come quella di Stafano Cucchi (la cui violenza e inspiegabilità portano a interrogarsi sul procedere delle nostre vite) per convogliare un’attenzione frammentata e dispersa territorialmente e portarla a dare un segnale concreto.

Di indignazione.

Le storie sono tante. Personi comuni. I nostri figli. I vostri figli. Curati per anni e poi spariti senza un perché.

Riccardo Rasman, Stefano Frapporti, Marcello Lonzi, Aldo Bianzino, Alberto Mercuriali, Manuel Eliantonio, Federico Aldrovandi. Questi fra i nomi recentemente più noti. Persone decedute in differenti circostanze ma sotto il medesimo denominatore della violenza poliziesca, dell’indifferenza burocratica e dell’avvallo mediatico. Una notorietà conquistata dalla forza dei familiari, nel non accettare le comode versioni ufficiali e nel pretendere, per la propria dignità, luce e chiarezza su questi decessi.

Può succedere a qualsiasi persona che si trovi ad essere terminale dell’uso legittimo della violenza nel nostro stato democratico.

Le testimonianze orali si sprecano, ma la dimensione del dibattito pubblico rimane inficiata dalla retorica ufficiale, che considerando cinicamente queste morti come incidenti di percorso, non ne sviluppa le cause effettive, ma ne contestualizza la dimensione specifica in ambiti ambigui e generici quali la lotta al crimine. Lotta, che garantisce certo consensi bipartisan, ma che lascia inalterato il silenzio sulle cause di un’agire spesso sproporzionalmente violento. Il contrasto dell’illegalità secondo canoni meta legali. Succede infatti che chi esegue la legge resti frequentemente e si consideri spesso, immune alle sue prescrizioni. Un risultato cercato, anche solo per la foga ricorrente di dover presentare statistiche positive, può essere raggiunto a costo di calpestare i diritti e le garanzie di chi si trova di fronte.


In fondo non siamo mica in America. E per consuetudine, non certo per legge, chi lavora nel campo dell’applicazione della norma, non se ne può distaccare illegittimamente, perchè la violenza statale è sempre legittima, il margine di necessità, finalizzato alla propria missione, basta a giustificare ogni operato condotto.

Le storie informali sono parecchie. I frammenti riportati di seguito sono solo un’anonima ed emblematica rappresentazione della normalità.

Celle di sicurezza, tutto buio, isolamento due metri per quattro, psicofarmaci, ansie che perdurano nel tempo. Lo spaccio di fumo è stata la causa di questa reazione. Un anno e tre mesi di intercettazione e poi la retata. Questa è finita bene, il ragazzo sputava solo sangue, inginocchiato, dopo le botte nella schiena con un budello pieno di sabbia, che le macchie spuntano dopo una settimana. Questa volta è finita bene. Nessuno ci ha rimesso il collo.

Altre volte invece le cose vanno meno bene. Anche agli esecutori della legge può scappare di mano la situazione e i risultati prodotti, quando troppo imbarazzanti per essere ammessi, si coprono, si nascondono e si tacciono con grande accondiscendenza delle istituzioni statali.

Queste sono le condizioni in cui si opera quotidinamente l’esercizio democratico della legittima violenza statale nei riguardi dei cittadini italiani. E i familiari che chiedono verità sono diffamati, screditati, umiliati, dalle istituzioni stesse, che permettono la dissuasione dalla ricerca del vero attraverso intimidazioni, calunnie ed ingiurie. La versione ufficiale deve essere accettata, non si prevede il dolore di una madre o la fermezza di un padre che vuole sapere.

L’omicidio di Stato infatti si riconosce non solo dalla concreta dinamica che ha condotto alla morte, ma ancora di più, da tutti gli atteggiamenti che si sviluppano, in seno ad apparati dello stato, per dissimulare, impedire, insabbiare ogni atto teso a rivelare le più scomode circostanze.

Se sei straniero poi, la situazione peggiora esponenzialmente. Si rischia di contare quanto vale in questo momento in Italia un clandestino e di vedere i carcerieri approfittarsi del loro ruolo e prendersi delle libertà che i diritti civili non consentirebbero. Ovviamente non è sempre così. Ma è buona norma accettare anche questa possibilità.

I diritti di una persona infatti, in queste situazioni di confine normativo, quando la vita di un uomo è totalmente dipendente dai suoi custodi, si declinano in base al suo passato, alla sua fedina penale, al clima politico e alla serie di garanzie che la legge riserva o preclude per l’individuo in questione. Essere clandestino significa godere di uno svantaggio legale e di essere percepito come un surplus, la cui eccedenza non deve essere regolata alla pari con gli altri cittadini, ma declinata in base al principio dell’esclusione.

Rieccoci al corteo di Livorno. Una ragazza del comitato antirazzista milanese scoppia in lacrime per la telefonata che da Milano le annuncia la morte di Mohamed El Abbouby. Mohamed aveva preso parte alla rivolta nel Centro di identificazione di Via Corelli a Milano lo scorso agosto. Dal Cie è passato al carcere ma quando gli hanno comunicato che sarebbe tornato in Via Corelli si è tolto la vita.

Di seguito la sua ultima missiva e la lettera di un suo conoscente che inquadra il contesto che ha fatto maturare questa decisione.

1) Carissimi

Oggi stesso ho ricevuto la lettera e i fogli di giornale, mi ha fatto
moltissimo piacere, così almeno riesco ad essere aggiornato sui fatti
attuali. Vi ringrazio di aver reso di pubblico dominio il mio caso.

Anche se mi sento fisicamente depresso sto bene. Come voi lotterò per
la giusta causa fino al mio ultimo respiro, contro gli sfruttatori di
noi proletari. Prima o poi la verità verrà a galla. Non possiamo che
vincere, sapendo che il prezzo sarà salato. Ma ne vale tutto il
sacrificio.

Che dire di questo governo razzista, senza idee per la gioventù, che,
secondo logica, è il futuro di ogni nazione. Senza giovani lavoratori
non si possono incassare le tasse, e senza tasse addio pensioni.

Comunque nella mia prossima missiva sarò molto più esplicito e
dettagliato a proposito del mio passato e della mia persona.

Buone feste a tutti i ragazzi, auguri

Mohamed El Abbouby

la lettera di cui parla Mohamed non è mai arrivata.

2) Lettera di Kalem Fatah da S.Vito sulla morte di Mohamed:

Milano 15/01/ 2010

Ciao carissimi amici/amiche

Vi scrivo questa mia brutta e triste lettera per mettervi al corrente che oggi uno dei nostri (Elabbouby Moahamed) è venuto a mancare, si è suicidato con il gas dopo avere saputo che sarebbe finito al centro di accoglienza nuovamente dopo la scarcerazione, e questo l’ha spinto a farla finita.

Lui avrebbe finito la carcerazione il 12/02/10. Questo ci turba molto noi che abbiamo il suo stesso problema e a dire la verità pensiamo tutti come lui. Speriamo che le nostre vite serviranno a cambiare le cose con questo governo fascista.

Un abbraccio a tutti voi dai vostri amici ribelli di Corelli

Le lotte di questi stranieri, da Rosarno a Via Corelli, sono le lotte alle quali gli italiani hanno rinunciato da tempo. Lotta per una vita migliore. Per avere la possibilità di vivere del proprio lavoro senza dover essere schiavo del primo imprenditore senza scrupoli. Lotte che possono far capire che chi sta lottando senza alcun diritto dovrebbe essere supportato da chi i diritti gli ha, ma non ne usufruisce. Sino a che un bel giorno ci si renderà conto che senza far valere attivamente le nostre tutele democratiche, il codice diventa solo un orpello che fa sempre il gioco di chi tiene il mazzo.


Ecco il link all'articolo :

http://ilsecoloxxi.wordpress.com/2010/01/24/che-cose-un-omicidio-di-stato/#more-450

Conferenza-Dibattito 28 gennaio ore 20.30

martedì 19 gennaio 2010

domenica 17 gennaio 2010

Manifestazione Livorno

Manifestazione Livorno

Manifestazione Livorno















Lugubre miraggio

Quella annunciata ieri dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, è né più né meno che una utopia negativa e un lugubre miraggio o, più semplicemente, una balla colossale, in cui è difficile discernere ciò che rimanda a una spensierata irresponsabilità e ciò che rivela una torpida insipienza.

Nel corso del dibattito alla Camera, tenacemente voluto dal deputato Radicale Rita Bernardini, il ministro ha pronunciato frasi temerarie: in particolare, ha affermato che il “piano carceri” - annunciato un anno e mezzo fa, sempre differito e che oggi verrà approvato dal Consigli dei ministri - porterà l’attuale capienza (43 mila) fino a 80mila posti-letto. In tutta evidenza, si tratta di un’affermazione priva, assolutamente priva, di qualunque fondamento di realtà. Mero esercizio di una fantasia esuberante. La conferma viene dalla vicenda esemplare, ma non unica, del carcere di Gela: progettato nel 1959 (avete letto bene, nel 1959), finanziato nel 1978, completato nel 2007 quando l’istituto viene inaugurato dall’allora ministro Clemente Mastella. L’apertura, nella più ottimistica delle valutazioni, è prevista per il luglio del 2010. Non si tratta di una anomalia così rara: uno studio attendibile ha indicato in dodici anni il tempo medio per la realizzazione di un carcere. E seppure si dichiarasse lo “stato di emergenza” - che non sta né in cielo né in terra e tanto meno nel nostro ordinamento, se non in caso di catastrofi naturali - i tempi si ridurrebbero della metà, nella migliore delle ipotesi. E, dunque, anche il fantasmagorico aumento dei posti letto, si rivelerebbe insufficiente rispetto a una popolazione detenuta che, nel frattempo, sarebbe cresciuta di altre 50/60 mila unità. Insomma, non siamo di fronte a un realistico progetto di politica criminale: piuttosto, assistiamo stupefatti a un esercizio di alta acrobazia aritmetico-ideologica, che sarebbe perfino mirabile se non fosse giocata sui corpi reclusi, sulle loro sofferenze, su quelle tante morti le cui cause sono “da accertare” (mai così tante come nel 2009) e sui quei suicidi (mai così tanti come nel 2009). Eppure, le soluzioni alternative – concretissime e razionalissime – ci sono, eccome. La Costituzione parla di “pene” e non di “pena detentiva” o di “carcere”: perché condannarsi a condannare sempre e comunque al carcere, anche quando esso non è necessario e, anzi, può essere dannoso? Perché non incentivare il passaggio, nel modo più ampio possibile, dalla cella chiusa alle misure alternative, dal momento che la recidiva dei detenuti è tre volte e mezzo superiore a quella di chi sconta la pena fuori dalla galera? Come hanno fatto notare i giudici federali al governatore della California, Arnold Schwarzenegger, che ha problemi di sovraffollamento simili ai nostri, ne verrebbero ingenti risparmi di spesa da reinvestire non solo in programmi di sostegno ai condannati in misura alternativa, ma anche alle necessità finanziarie dell’intero sistema di giustizia. Ma, in Italia, Schwarzenegger è solo quello di Terminator.

Luigi Manconi - Il Manifesto, 13 gennaio 2010

domenica 10 gennaio 2010

Replica


21 gennaio alle 20.30
Sala filarmonica - Rovereto
vi aspettiamo numerosi!!

giovedì 7 gennaio 2010

Manifestazione nazionale contro gli omicidi di Stato


L'assemblea parenti, amici e solidali di Stefano Frapporti, ha deciso di partecipare alla manifestazione nazionale contro gli omicidi di Stato che si terrà a Livorno il 16 gennaio convocata da Maria Ciuffi, mamma di Marcello Lonzi, giovane ucciso nel carcere "Le Sughere" di Livorno nel 2003, per chiedere verità e giustizia.
A Maria si sono uniti tanti altri familiari di vittime dello Stato: saranno presenti i familiari di Carlo Giuliani, Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Manuel Eliantonio, Stefano Cucchi, Riccardo Rasman, Niki Gatti.

Anche da Rovereto stiamo organizzando il viaggio in pullman, il costo varierà in base al numero dei partecipanti e perciò potremo essere più precisi solo dopo aver raccolto le adesioni (entro il 12 gennaio!).

Per maggiori informazioni sulla trasferta, o per prenotarsi, si prega di contattare Graziella ai seguenti recapiti:

Telefono: 0464-438999 - ore pasti