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Non si può morire così...
Stefano Frapporti era un muratore di 48 anni. Il 21 luglio 2009 andava in giro in bicicletta quando è stato fermato da due carabinieri in borghese per un'infrazione stradale. Portato in carcere perché sospettato di spaccio non uscirà mai vivo dalla cella.

Questo blog nasce dalla volontà della famiglia di ottenere chiarezza su quel che è successo a Stefano e per chiedere che venga fatta giustizia.



ASSEMBLEA PUBBLICA TUTTI I MARTEDI' DALLE 20.00 ALLA SEDE DELL'ASSOCIAZIONE "STEFANO FRAPPORTI" IN VIA CAMPAGNOLE 22.

Archiviato il "caso Lonzi"

Da: marcellolonzi.noblogs.org

«Non ci sono responsabilità di pestaggio del detenuto Marcello Lonzi, né da parte della polizia penitenziaria, né di terzi. Marcello Lonzi è morto per un “forte infarto”». Con queste parole stamattina, durante un’udienza presso la Procura di Livorno, il Gip Rinaldo Merani ha liquidato le speranze di un processo per il “caso Lonzi”. In presenza dei familiari di Marcello, di una delle guardie carcerarie oggetto di indagine per omicidio colposo, e del compagno di cella, indagato per omicidio preterintenzionale, in una Procura presidiata massicciamente da polizia e carabinieri, il Gip ha ribadito le conclusioni della precedente archiviazione del 2004, senza dare adito, stavolta, al benché minimo elemento di perplessità. Archiviazione anche stavolta, dunque. E nessuna spiegazione per i numerosi lati oscuri della vicenda. Passa la tesi per cui Marcello si è procurato le orrende ferite alla testa cadendo su un secchio di plastica o su un termosifone. È confermato che fu il massaggio cardiaco di un’infermiera a provocare la rottura di otto (otto!) costole. Nessuna parola invece sui segni di colpi e fendenti che ricoprono tutto il corpo, le spalle e le gambe. Nessuna parola sulla vernice blu riscontrata sulla ferita frontale dall’ultima perizia. E nessuna parola sui molteplici dati contraddittori emersi dalle testimonianze di detenuti e guardie carcerarie rilasciate in questi sette lunghi anni. In compenso, le conclusioni della richiesta di archiviazione su cui si è basata l’odierna archiviazione abbondano di illazioni completamente gratuite sul rapporto fra la madre e il figlio, che Maria Ciuffi si è anche trovata costretta, con grande pena, a smentire pubblicamente. Fuori del tribunale, durante l'udienza, una quarantina di persone ha manifestato con striscioni contro la decisione della procura livornese di chiudere l'inchiesta. Quando Maria Ciuffi, piangendo, ha annunciato ai presenti l'esito dell'udienza le grida ''vergogna'' e ''assassini' si sono levate all'indirizzo del tribunale. «Me l'aspettavo - ha amaramente commentato fuori dal tribunale - ma la speranza di una mamma non finisce mai. Con la procura di Livorno ho chiuso. Ringrazio chi mi ha aiutato a combattere in questi sette anni. Purtroppo ho perso, ma non finisce qui. Presenteremo ricorso in Cassazione». Contattata dalla redazione di aut-aut, Maria Ciuffi ha ribadito la volontà di andare avanti. «Domani andremo a ritirare la sentenza di archiviazione che, a quanto pare, era già stata scritta prima dell’incontro. E poi con il mio avvocato depositeremo prima possibile la richiesta del ricorso in Cassazione. Sembra che ci sia pochissimo tempo, e stiamo facendo più in fretta possibile. Continuerò ad andare avanti con tutte le mie forze per ottenere quella verità e quella giustizia che sto inseguendo da sette anni».