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Non si può morire così...
Stefano Frapporti era un muratore di 48 anni. Il 21 luglio 2009 andava in giro in bicicletta quando è stato fermato da due carabinieri in borghese per un'infrazione stradale. Portato in carcere perché sospettato di spaccio non uscirà mai vivo dalla cella.

Questo blog nasce dalla volontà della famiglia di ottenere chiarezza su quel che è successo a Stefano e per chiedere che venga fatta giustizia.



ASSEMBLEA PUBBLICA TUTTI I MARTEDI' DALLE 20.00 ALLA SEDE DELL'ASSOCIAZIONE "STEFANO FRAPPORTI" IN VIA CAMPAGNOLE 22.

mercoledì 27 gennaio 2010

Partita l'iniziativa "Aiutiamo anche LORO a non dimenticare Stefano Frapporti".


Le cartoline con le bandiere verranno spedite agli indirizzi stabiliti in assemblea : tribunale, carcere e caserma dei carabinieri. Dell'iniziativa sono stati informati anche gli organi di stampa e la RAI di Trento.

domenica 24 gennaio 2010

Che cos'è un omicidio di stato ? - articolo di Fabrizio Dentini su "Secolo XXI"

Verità e giustizia chiedono i familiari delle vittime.

Nell’Italia del XXI secolo ci troviamo a fare i conti con pratiche che hanno il loro punto di origine nella costituzione dello stato moderno. La detenzione, associata al silenzio burocratico (alle sue plurime interpretazioni) e all’agire delle forze di polizia, ha dato luogo, nel corso della storia italiana, a numerosi casi di morte di persone sotto la tutela dello Stato e sotto la regolamentazione delle sue leggi.

Può capitare infatti, che un cittadino di questo paese, in funzione delle leggi vigenti, venga sottratto per un lasso di tempo alla sua autonomia e non torni più indietro.

Non torni più a casa dai suoi cari. E il vuoto che lascia risulta molto difficile da riempire in termini di presa di coscienza collettiva.

Perché queste morti sono talmente assurde che farle diventare rappresentative di una patologia democratica è un compito che i soli familiari non possono supportare.

Sabato 16 Gennaio, a Livorno, si sono date appuntamento le persone sensibili a quest’ aspetto della vita democratica: un luogo dell’esperienza, che difficilmente sale a destare l’interesse comune. Perché chi incorre in queste dinamiche spesso non ha né voce né il diritto di averla.

E’ servita una morte esemplare come quella di Stafano Cucchi (la cui violenza e inspiegabilità portano a interrogarsi sul procedere delle nostre vite) per convogliare un’attenzione frammentata e dispersa territorialmente e portarla a dare un segnale concreto.

Di indignazione.

Le storie sono tante. Personi comuni. I nostri figli. I vostri figli. Curati per anni e poi spariti senza un perché.

Riccardo Rasman, Stefano Frapporti, Marcello Lonzi, Aldo Bianzino, Alberto Mercuriali, Manuel Eliantonio, Federico Aldrovandi. Questi fra i nomi recentemente più noti. Persone decedute in differenti circostanze ma sotto il medesimo denominatore della violenza poliziesca, dell’indifferenza burocratica e dell’avvallo mediatico. Una notorietà conquistata dalla forza dei familiari, nel non accettare le comode versioni ufficiali e nel pretendere, per la propria dignità, luce e chiarezza su questi decessi.

Può succedere a qualsiasi persona che si trovi ad essere terminale dell’uso legittimo della violenza nel nostro stato democratico.

Le testimonianze orali si sprecano, ma la dimensione del dibattito pubblico rimane inficiata dalla retorica ufficiale, che considerando cinicamente queste morti come incidenti di percorso, non ne sviluppa le cause effettive, ma ne contestualizza la dimensione specifica in ambiti ambigui e generici quali la lotta al crimine. Lotta, che garantisce certo consensi bipartisan, ma che lascia inalterato il silenzio sulle cause di un’agire spesso sproporzionalmente violento. Il contrasto dell’illegalità secondo canoni meta legali. Succede infatti che chi esegue la legge resti frequentemente e si consideri spesso, immune alle sue prescrizioni. Un risultato cercato, anche solo per la foga ricorrente di dover presentare statistiche positive, può essere raggiunto a costo di calpestare i diritti e le garanzie di chi si trova di fronte.


In fondo non siamo mica in America. E per consuetudine, non certo per legge, chi lavora nel campo dell’applicazione della norma, non se ne può distaccare illegittimamente, perchè la violenza statale è sempre legittima, il margine di necessità, finalizzato alla propria missione, basta a giustificare ogni operato condotto.

Le storie informali sono parecchie. I frammenti riportati di seguito sono solo un’anonima ed emblematica rappresentazione della normalità.

Celle di sicurezza, tutto buio, isolamento due metri per quattro, psicofarmaci, ansie che perdurano nel tempo. Lo spaccio di fumo è stata la causa di questa reazione. Un anno e tre mesi di intercettazione e poi la retata. Questa è finita bene, il ragazzo sputava solo sangue, inginocchiato, dopo le botte nella schiena con un budello pieno di sabbia, che le macchie spuntano dopo una settimana. Questa volta è finita bene. Nessuno ci ha rimesso il collo.

Altre volte invece le cose vanno meno bene. Anche agli esecutori della legge può scappare di mano la situazione e i risultati prodotti, quando troppo imbarazzanti per essere ammessi, si coprono, si nascondono e si tacciono con grande accondiscendenza delle istituzioni statali.

Queste sono le condizioni in cui si opera quotidinamente l’esercizio democratico della legittima violenza statale nei riguardi dei cittadini italiani. E i familiari che chiedono verità sono diffamati, screditati, umiliati, dalle istituzioni stesse, che permettono la dissuasione dalla ricerca del vero attraverso intimidazioni, calunnie ed ingiurie. La versione ufficiale deve essere accettata, non si prevede il dolore di una madre o la fermezza di un padre che vuole sapere.

L’omicidio di Stato infatti si riconosce non solo dalla concreta dinamica che ha condotto alla morte, ma ancora di più, da tutti gli atteggiamenti che si sviluppano, in seno ad apparati dello stato, per dissimulare, impedire, insabbiare ogni atto teso a rivelare le più scomode circostanze.

Se sei straniero poi, la situazione peggiora esponenzialmente. Si rischia di contare quanto vale in questo momento in Italia un clandestino e di vedere i carcerieri approfittarsi del loro ruolo e prendersi delle libertà che i diritti civili non consentirebbero. Ovviamente non è sempre così. Ma è buona norma accettare anche questa possibilità.

I diritti di una persona infatti, in queste situazioni di confine normativo, quando la vita di un uomo è totalmente dipendente dai suoi custodi, si declinano in base al suo passato, alla sua fedina penale, al clima politico e alla serie di garanzie che la legge riserva o preclude per l’individuo in questione. Essere clandestino significa godere di uno svantaggio legale e di essere percepito come un surplus, la cui eccedenza non deve essere regolata alla pari con gli altri cittadini, ma declinata in base al principio dell’esclusione.

Rieccoci al corteo di Livorno. Una ragazza del comitato antirazzista milanese scoppia in lacrime per la telefonata che da Milano le annuncia la morte di Mohamed El Abbouby. Mohamed aveva preso parte alla rivolta nel Centro di identificazione di Via Corelli a Milano lo scorso agosto. Dal Cie è passato al carcere ma quando gli hanno comunicato che sarebbe tornato in Via Corelli si è tolto la vita.

Di seguito la sua ultima missiva e la lettera di un suo conoscente che inquadra il contesto che ha fatto maturare questa decisione.

1) Carissimi

Oggi stesso ho ricevuto la lettera e i fogli di giornale, mi ha fatto
moltissimo piacere, così almeno riesco ad essere aggiornato sui fatti
attuali. Vi ringrazio di aver reso di pubblico dominio il mio caso.

Anche se mi sento fisicamente depresso sto bene. Come voi lotterò per
la giusta causa fino al mio ultimo respiro, contro gli sfruttatori di
noi proletari. Prima o poi la verità verrà a galla. Non possiamo che
vincere, sapendo che il prezzo sarà salato. Ma ne vale tutto il
sacrificio.

Che dire di questo governo razzista, senza idee per la gioventù, che,
secondo logica, è il futuro di ogni nazione. Senza giovani lavoratori
non si possono incassare le tasse, e senza tasse addio pensioni.

Comunque nella mia prossima missiva sarò molto più esplicito e
dettagliato a proposito del mio passato e della mia persona.

Buone feste a tutti i ragazzi, auguri

Mohamed El Abbouby

la lettera di cui parla Mohamed non è mai arrivata.

2) Lettera di Kalem Fatah da S.Vito sulla morte di Mohamed:

Milano 15/01/ 2010

Ciao carissimi amici/amiche

Vi scrivo questa mia brutta e triste lettera per mettervi al corrente che oggi uno dei nostri (Elabbouby Moahamed) è venuto a mancare, si è suicidato con il gas dopo avere saputo che sarebbe finito al centro di accoglienza nuovamente dopo la scarcerazione, e questo l’ha spinto a farla finita.

Lui avrebbe finito la carcerazione il 12/02/10. Questo ci turba molto noi che abbiamo il suo stesso problema e a dire la verità pensiamo tutti come lui. Speriamo che le nostre vite serviranno a cambiare le cose con questo governo fascista.

Un abbraccio a tutti voi dai vostri amici ribelli di Corelli

Le lotte di questi stranieri, da Rosarno a Via Corelli, sono le lotte alle quali gli italiani hanno rinunciato da tempo. Lotta per una vita migliore. Per avere la possibilità di vivere del proprio lavoro senza dover essere schiavo del primo imprenditore senza scrupoli. Lotte che possono far capire che chi sta lottando senza alcun diritto dovrebbe essere supportato da chi i diritti gli ha, ma non ne usufruisce. Sino a che un bel giorno ci si renderà conto che senza far valere attivamente le nostre tutele democratiche, il codice diventa solo un orpello che fa sempre il gioco di chi tiene il mazzo.


Ecco il link all'articolo :

http://ilsecoloxxi.wordpress.com/2010/01/24/che-cose-un-omicidio-di-stato/#more-450

Conferenza-Dibattito 28 gennaio ore 20.30

martedì 19 gennaio 2010

domenica 17 gennaio 2010

Manifestazione Livorno

Manifestazione Livorno

Manifestazione Livorno















Lugubre miraggio

Quella annunciata ieri dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, è né più né meno che una utopia negativa e un lugubre miraggio o, più semplicemente, una balla colossale, in cui è difficile discernere ciò che rimanda a una spensierata irresponsabilità e ciò che rivela una torpida insipienza.

Nel corso del dibattito alla Camera, tenacemente voluto dal deputato Radicale Rita Bernardini, il ministro ha pronunciato frasi temerarie: in particolare, ha affermato che il “piano carceri” - annunciato un anno e mezzo fa, sempre differito e che oggi verrà approvato dal Consigli dei ministri - porterà l’attuale capienza (43 mila) fino a 80mila posti-letto. In tutta evidenza, si tratta di un’affermazione priva, assolutamente priva, di qualunque fondamento di realtà. Mero esercizio di una fantasia esuberante. La conferma viene dalla vicenda esemplare, ma non unica, del carcere di Gela: progettato nel 1959 (avete letto bene, nel 1959), finanziato nel 1978, completato nel 2007 quando l’istituto viene inaugurato dall’allora ministro Clemente Mastella. L’apertura, nella più ottimistica delle valutazioni, è prevista per il luglio del 2010. Non si tratta di una anomalia così rara: uno studio attendibile ha indicato in dodici anni il tempo medio per la realizzazione di un carcere. E seppure si dichiarasse lo “stato di emergenza” - che non sta né in cielo né in terra e tanto meno nel nostro ordinamento, se non in caso di catastrofi naturali - i tempi si ridurrebbero della metà, nella migliore delle ipotesi. E, dunque, anche il fantasmagorico aumento dei posti letto, si rivelerebbe insufficiente rispetto a una popolazione detenuta che, nel frattempo, sarebbe cresciuta di altre 50/60 mila unità. Insomma, non siamo di fronte a un realistico progetto di politica criminale: piuttosto, assistiamo stupefatti a un esercizio di alta acrobazia aritmetico-ideologica, che sarebbe perfino mirabile se non fosse giocata sui corpi reclusi, sulle loro sofferenze, su quelle tante morti le cui cause sono “da accertare” (mai così tante come nel 2009) e sui quei suicidi (mai così tanti come nel 2009). Eppure, le soluzioni alternative – concretissime e razionalissime – ci sono, eccome. La Costituzione parla di “pene” e non di “pena detentiva” o di “carcere”: perché condannarsi a condannare sempre e comunque al carcere, anche quando esso non è necessario e, anzi, può essere dannoso? Perché non incentivare il passaggio, nel modo più ampio possibile, dalla cella chiusa alle misure alternative, dal momento che la recidiva dei detenuti è tre volte e mezzo superiore a quella di chi sconta la pena fuori dalla galera? Come hanno fatto notare i giudici federali al governatore della California, Arnold Schwarzenegger, che ha problemi di sovraffollamento simili ai nostri, ne verrebbero ingenti risparmi di spesa da reinvestire non solo in programmi di sostegno ai condannati in misura alternativa, ma anche alle necessità finanziarie dell’intero sistema di giustizia. Ma, in Italia, Schwarzenegger è solo quello di Terminator.

Luigi Manconi - Il Manifesto, 13 gennaio 2010

domenica 10 gennaio 2010

Replica


21 gennaio alle 20.30
Sala filarmonica - Rovereto
vi aspettiamo numerosi!!

giovedì 7 gennaio 2010

Manifestazione nazionale contro gli omicidi di Stato


L'assemblea parenti, amici e solidali di Stefano Frapporti, ha deciso di partecipare alla manifestazione nazionale contro gli omicidi di Stato che si terrà a Livorno il 16 gennaio convocata da Maria Ciuffi, mamma di Marcello Lonzi, giovane ucciso nel carcere "Le Sughere" di Livorno nel 2003, per chiedere verità e giustizia.
A Maria si sono uniti tanti altri familiari di vittime dello Stato: saranno presenti i familiari di Carlo Giuliani, Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino, Manuel Eliantonio, Stefano Cucchi, Riccardo Rasman, Niki Gatti.

Anche da Rovereto stiamo organizzando il viaggio in pullman, il costo varierà in base al numero dei partecipanti e perciò potremo essere più precisi solo dopo aver raccolto le adesioni (entro il 12 gennaio!).

Per maggiori informazioni sulla trasferta, o per prenotarsi, si prega di contattare Graziella ai seguenti recapiti:

Telefono: 0464-438999 - ore pasti