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Non si può morire così...
Stefano Frapporti era un muratore di 48 anni. Il 21 luglio 2009 andava in giro in bicicletta quando è stato fermato da due carabinieri in borghese per un'infrazione stradale. Portato in carcere perché sospettato di spaccio non uscirà mai vivo dalla cella.

Questo blog nasce dalla volontà della famiglia di ottenere chiarezza su quel che è successo a Stefano e per chiedere che venga fatta giustizia.



ASSEMBLEA PUBBLICA TUTTI I MARTEDI' DALLE 20.00 ALLA SEDE DELL'ASSOCIAZIONE "STEFANO FRAPPORTI" IN VIA CAMPAGNOLE 22.

Genova, 17-18 luglio 2010 - testo dell'intervento.

Le morti “oscure” di cui stiamo parlando in questi incontri, purtroppo, non sono un fatto nuovo. La storia dello Stato italiano è costellata di morti “sospette”, avvenute in carcere così come in caserme o questure, archiviate come suicidi o ufficialmente prodotte da fatali cadute (da finestre, scale, ... e così via). In qualche caso queste morti hanno suscitato, soprattutto da parte dei familiari, indignazione, denunce, lettere ai giornali, richieste per accertare una verità che molto spesso era scritta su quei corpi, risultato palese di violenze inferte su persone ristrette fisicamente. Da parte delle istituzioni la risposta, nel migliore dei casi, è stata quella di delegare le indagini alla magistratura, con la consapevolezza di poter facilmente ottenere un’archiviazione. Non c’è notizia di alcuna autorità istituzionale che, di fronte al recente aumento di queste morti nonché all’uso esplicito e ricorrente della violenza da parte delle forze dell’ordine, abbia pensato di rinunciare all’incarico per motivi di coscienza.

Negli ultimi anni, però, è accaduto anche un fatto strano, insolito in questi tempi caratterizzati per lo più da indifferenza e passività generale: queste morti tragiche, da storie individuali hanno assunto una dimensione più ampia, collettiva. Ossia c’è stato un incontro, in luoghi geograficamente distanti tra loro, di persone che, a partire da percorsi personali, esistenziali e politici anche molto diversi, hanno dato vita a dibattiti, manifestazioni e a molte altre azioni per denunciare quanto accade. Da un paio di anni a questa parte, in particolare, questi gruppi, associazioni, individui e assemblee hanno cominciato a incontrarsi in diverse situazioni, aprendo spazi di discussione e modalità di confronto prima assenti.
La manifestazione a Livorno del 16 gennaio scorso contro gli omicidi di Stato ha costituito uno dei momenti più importanti di questo percorso. Non a caso quel giorno Livorno era presidiata militarmente da reparti antisommossa di carabinieri, polizia, guardia di finanza. Non certo per il “pericolo di violenze”, come tuonavano media e giornali, ma perché la ricerca di questo terreno comune di lotta fa paura. Fa paura proprio perché mette in discussione le logiche di esercizio di quel monopolio della violenza che caratterizza lo Stato moderno.

A un anno dalla morte di Stefano, come assemblea dei parenti, amici e solidali, abbiamo sentito la necessità di compiere un ulteriore passo nel nostro percorso e ci piacerebbe che questo fosse condiviso da altre realtà territoriali.
Innanzitutto teniamo a sottolineare come tutto ciò che abbiamo intrapreso finora nasca da nostre esigenze, vissute ed elaborate diversamente da ognuno di noi, ma messe in comune per cercare un punto d'incontro che ci faccia crescere.
Così è stato per la rappresentazione teatrale sulla vicenda di Stefano Frapporti, con la quale abbiamo voluto raccontare in maniera approfondita quanto era accaduto a Stefano, in una modalità che coinvolgesse profondamente altre persone e permettesse loro di capire la rabbia che ci ha fatto partire.
Così è stato per la rete di autodifesa, l'altro progetto a cui stiamo lavorando con la volontà di metterci in gioco in prima persona, per creare una rete di contatti che ci permetta di tutelare noi stessi e chiunque altro dagli abusi delle forze dell'ordine. Anche in questo caso, stiamo cercando di articolare nella pratica le riflessioni personali e collettive che la morte di Stefano, e non solo, ci ha suscitato. E' stata infatti comune la considerazione che, se quella sera Stefano non fosse rimasto solo, soprattutto nel momento del fermo e della permanenza in caserma, le cose sarebbero andate diversamente e molto probabilmente sarebbe ancora vivo. Questo implica la presa di coscienza del fatto che, nel contesto attuale, delle forze dell'ordine bisogna, perlomeno, diffidare. Sappiamo che questo ragionamento non è immediato per tutte le persone che incontriamo durante le nostre iniziative ma, nell'attesa che diventi patrimonio comune, noi abbiamo intenzione di muoverci per evitare quanti più abusi possibili.

Come assemblea di famigliari, amici e solidali di Stefano Frapporti crediamo che anche questi incontri allargati a cui abbiamo partecipato negli ultimi mesi, debbano assumere, almeno in parte, una dimensione concreta, ragionando su proposte da costruire insieme. Ultimamente, ci siamo trovati a ragionare sul fatto che, soprattutto di questi tempi, caratterizzati da una criminalizzazione crescente dei comportamenti individuali e dalla repressione come unico metodo per risolvere i conflitti sociali, può capitare a tanti di trovarsi dietro le sbarre. Le leggi sulla clandestinità come reato, sulla criminalizzazione delle droghe e l’aumento di pene per i recidivi stanno riempiendo le carceri. Se, come crediamo, le morti “oscure” di cui parliamo sono il risultato, anche, di questo clima, allora occorre che il carcere torni ad essere un problema sociale, discusso nelle pubbliche piazze, e non riservato agli specialisti con i loro codici. Per questo, il mese scorso abbiamo deciso che per ricordare pubblicamente Stefano, come facciamo il 21 di ogni mese, non ci saremmo rivolti al centro storico di Rovereto, bensì alle detenute ed ai detenuti, i quali sono in protesta da ormai quasi due mesi contro le invivibili condizioni in cui sono costretti. E' stato un momento intenso, di cui abbiamo discusso sia prima che dopo, e che ci ha portato a riflettere sugli stereotipi e le remore in cui facilmente ci si imbatte, quando si parla e, a maggior ragione, si pensa come agire sul tema del carcere.
Proprio a partire da queste riflessioni e nella prospettiva di dare maggiore concretezza allo slogan “Perché così non si muoia più” proponiamo di scegliere un giorno comune, a livello nazionale, in cui ogni realtà organizzi sul proprio territorio, con le modalità che più le sono affini, un presidio in solidarietà alle detenute e ai detenuti.
Per quel che ci riguarda, è un'esperienza che abbiamo intenzione di portare avanti ma ci piacerebbe che, almeno in alcuni suoi momenti, fosse condivisa con gli altri gruppi, associazioni, assemblee che, come noi, si stanno muovendo a partire dalla denuncia delle morti “oscure”. Per la natura della nostra come di altre assemblee e associazioni che agiscono su questo terreno, ed in relazione a considerazioni già condivise con alcuni di voi, ci piacerebbe anche che questi momenti fossero autorganizzati, al di fuori di logiche di partito o istituzionali. Mantenendo ognuno le proprie specificità, riteniamo che sia importante muoversi in maniera indipendente e autonoma sul proprio territorio, con i metodi che si ritengono più opportuni.

Assemblea parenti, amici e solidali di Stefano Frapporti