http://circolocabana.sitiwebs.com/


Non si può morire così...
Stefano Frapporti era un muratore di 48 anni. Il 21 luglio 2009 andava in giro in bicicletta quando è stato fermato da due carabinieri in borghese per un'infrazione stradale. Portato in carcere perché sospettato di spaccio non uscirà mai vivo dalla cella.

Questo blog nasce dalla volontà della famiglia di ottenere chiarezza su quel che è successo a Stefano e per chiedere che venga fatta giustizia.



ASSEMBLEA PUBBLICA TUTTI I MARTEDI' DALLE 20.00 ALLA SEDE DELL'ASSOCIAZIONE "STEFANO FRAPPORTI" IN VIA CAMPAGNOLE 22.

mercoledì 26 agosto 2009

Intervista alla sorella di Stefano

Riprendiamo dal blog di Beppe Grillo l'intervista fatta alla sorella Ida.

lunedì 24 agosto 2009

Ida Frapporti scrive a Marco Travaglio

Caro Marco,
per la grande stima che ho in Lei, voglio metterla a conoscenza di una tragedia accaduta il giorno 21/07/2009 a Rovereto (TN), "Città della pace".
Sono la sorella di Stefano Frapporti di anni 49, suicidatosi in carcere dopo circa 20 minuti dalla chiusura all'interno della cella. Mio fratello faceva il muratore da oltre 30 anni, era dipendente di un'impresa edile. Non era sposato e viveva da solo da 4 anni. Ha sempre vissuto con i genitori fino a 4 anni fa quando, dopo quasi una vita di duro lavoro e risparmio, era riuscito a comperarsi un appartamentino solamente con le proprie forze finanziarie. Da otto anni, cioè dalla morte della madre, io per lui come sorella maggiore avevo assunto anche il ruolo di mamma, ero il suo punto di riferimento.
Passiamo ora ai fatti: dopo una dura giornata di lavoro di circa 9 - 10 ore, per caso transitava in bicicletta su un marciapiede in una via di Rovereto. Nei pressi di tale via si trova il bar 'Bibendum' e dal verbale dei carabinieri emerge che loro sospettavano che in quel luogo si potesse acquistare del fumo. Mio fratello viene bloccato in malo modo da due agenti in borghese per aver commesso, con la bicicletta, un'infrazione del codice stradale, tutto questo riportato da testimoni oculari.
In seguito ho solo notizie documentate dai verbali dei carabinieri. Questi ultimi verbalizzano che la perquisizione fisica ha esito negativo. Non essendoci altri testimoni oltre i due agenti, dichiarano gli stessi che mio fratello riferisce volontariamente di possedere presso la propria abitazione due spinelli (RIF. Verbale). Sempre basandomi su l'unica testimonianza verbalizzata dei due agenti, vengo a sapere che con la presenza di mio fratello viene perquisito l'appartamento e lì vengono trovati alcuni pezzetti di hashish del peso complessivo di 99,830 gr. Scatta automaticamente l'arresto, gli inquirenti dichiarano che mio fratello rifiuta di informare i famigliari. Viene trasportato in carcere alle ore 22.30, dalle testimonianze che mi vengono riferite di persona delle guardi carcerarie, addirittura scherzava fino alle 23.30, il momento in cui viene rinchiuso in cella. Da quanto mi è stato riferito dal comandante delle carceri, a quel punto esprime il desiderio di telefonare alla sorella ma questo gli viene negato, poiché aveva già firmato il rifiuto di informare i familiari .
Alle 23.50 viene trovato senza vita, si è impiccato con il cordoncino dei pantaloni della tuta. Noi familiari veniamo avvisati per telefono alle ore 10.00 del giorno seguente. Appena avuta la brutta notizia io stessa con le mie chiavi mi sono recata nella casa di mio fratello. Ero allo oscuro di tutto perché le prime notizie riguardo l'accaduto le ho apprese solo tre giorni dopo la morte. Entrando in casa non ho avuto il minimo sospetto che fosse entrato qualcuno, l'appartamento era in perfetto ordine, oserei dire l'ordine maniacale di mio fratello.
Stefano lascia un padre di 85 anni, io casalinga di 54 anni e madre di due figli e altri due fratelli con famiglia. Il dolore della perdita è grande ma non tanto quanto il mistero che avvolge questa tragica fine.
Non si può morire così e non può passare nel silenzio e nell'indifferenza e accettare che tutto ciò sia "dura normalità".

Ida Frapporti

domenica 23 agosto 2009

Servono risposte sulla morte di Frapporti

«Sappiamo che le indagini richiedono prudenza e riservatezza, ed anche che non è questa la procedura normale che seguono inquirenti e forze dell’ordine. Ma il caso di Stefano Frapporti, morto suicida in carcere poche ore dopo l’arresto, non è un caso normale. E sconcerta moltissimi cittadini. E allora chiediamo: perchè qualcuno non trova il modo per chiarire ufficialmente come sono andate le cose? Penso a una conferenza stampa o ad un comunicato: una risposta certa alle molte domande che rimangono su quell’episodio e che il silenzio delle fonti ufficiali non può che alimentare».
La richiesta è di Armando Polli, di Ambiente e Società: una delle forze politiche che hanno aderito alle manifestazioni indette per chiedere che si faccia piena luce sull’accaduto. La necessarietà e opportunità dell’arresto, le modalità in cui si è svolto, le ragioni per cui all’uomo, senza precedenti penali e conosciuto come lavoratore serio e persona posata, non si è permesso di telefonare a nessuno. E tutti i dettagli sulla sua morte sui quali in città circolano ormai le ipotesi più fantasiose. «Solo le forze dell’ordine e la magistratura sanno come siano andate veramente le cose - conclude Poli - e allora lo dicano. E’ l’unico modo per restituire a tutti un minimo di serenità».

Tratto dal Trentino del 23 agosto 2009

Lettere di solidarietà

Abito a Rovereto. Ho tolto via Campagnole dai miei itinerari, ma nessuno mi assicura che non possa accadere altrove, a me come ai miei figli, a chiunque: transitare in bicicletta, passare davanti ad un bar che 'potrebbe' essere sospetto (ma io non lo so) ed essere fermato. Non essere trovato in possesso di alcunchè ma di ritrovarmi ugualmente le forse dell'Ordine a casa che mi perquisiscono. E poi di finire in carcere. Ma siamo ancora in un regime di libertà o la nostra è già libertà vigilata?
PAOLA R. (Rovereto)

In questa Italia nella quale assistiamo ad una progressiva erosione dello Stato di diritto, un detenuto muore in cella suicidandosi a tre ore da un fermo per infrazione stradale (in bicicletta!) che matura in seguito ad una perquisizione domiciliare in assenza di testimoni e legali. Il fatto è accaduto a Rovereto in Trentino, ma l'eco che si moltiplica grazie alla rete è giunta anche qui a Verona da dove scrivo perchè l'uomo, descritto da tutti come un mite, viene poi arrestato con l'accusa di detenzione di droga, fatto inverosimile a detta di chi lo conosceva. Tre ore dopo in cella si impicca con una corda, nel silenzio totale e viene cremato in fretta. A me qualcosa non torna vorrei che questo ragazzo che si chiamava Stefano Frapporti non fosse solo un fascicolo di archivio alla voce "Eventi critici" di un penitenziario di una provincia ovattata e felix delle sue autonomie. Ora la città protesta e chiede che si faccia luce. Intanto l'Italia prosegue ignara, le ronde partono e di una morte in più, fra le tante che avvengono al chiuso del carcere, non si accorgerà. Una lettera ad un giornale non basterà, ma è sempre meglio che il silenzio.
GOSTA ZWILLING (Verona)

Ho conosciuto Stefano Frapporti dieci anni fa, per dei lavori di sopraelevazione in casa mia. Un periodo breve, un mese circa, in cui comunque ho avuto modo di apprezzare la sua mitezza, la sua cordialità, la sua voglia di lavorare. Alla sera, finito il suo lavoro da muratore e lavatosi le mani dalla calce, Stefano partiva verso casa con lo scooter, immancabilmente con un sorriso. Ne ho un ricordo ancora vivo e quell'immagine serena stride oggi più che mai con quella di un presunto spacciatore, di un "criminale", come vorrebbero descrivere le cronaca di polizia di quel tristissimo giorno in cui Stefano ha perso la vita. Dico "perso" la vita, perchè molto spesso in atti come questi, la volontà della persona viene annichilita dagli eventi, dalla prepotenza di una realtà incomprensibile, dal prevalere della forza sulla ragione. Nulla e nessuno restituirà più ai suoi familiari Stefano - come dice il padre. Tuttavia è dovere di questa società e di chi la rappresenta, indagare e comprendere, stigmatizzare ed intervenire perchè non passi sotto silenzio una questione - una fra le tante di questa nostra giustizia italiana - che non si può passare come una normale questione di quotidiano "disagio" carcerario.
MAURO PANIZZA (pubblicista, Volano)

Non riesco ad entrare nelle vesti del povero Stefano se non immaginandone lo supore prima (l'arresto) con tutti i suoi perchè; l'angoscia dopo (il carcere) con tutti i suoi perchè. Credo che quel vuoto di domande debba farci riflettere perchè può toccare ad ognuno di noi di fare la fine di Stefano.
ANTONIO MARCHI (pensionato, Trento)

Ho espresso solidarietà alla famiglia di Stefano Frapporti. Purtroppo mi rincresce constatare che non sempre le forze dell’ordine cercano la verità. Per sapere la verità è necessario partire dalla prevenzione. Intendo dire: rispetto per gli altri, che non c’è e che non c’è mai stato. C’è modo e modo di rapportarsi con le persone. Innanzitutto serve il dialogo - l’accertamento della verità e perché no, un po’ di umanità con psicologia preventiva. Scommetto che se fosse stato un collega... sarebbe stato diverso. Per la mia schiettezza ho pagato un prezzo salato perché una persona che esprime le sue versioni corrette oggigiorno è già una persona “carcerata”. Ovvero, un carcerato libero da recinti ma assillato da persecuzioni sottili.

PAOLA CAPPELLETTI

mercoledì 19 agosto 2009

Nuovo presidio per Stefano

COS’É SUCCESSO A STEFANO FRAPPORTI?

CONTINUIAMO A LOTTARE PER LUI E PER TUTTI!

“Quello che è accaduto a Stefano ‘Cabana’ Frapporti non può passare nel silenzio e nell’indifferenza. Una parte della città lo sente, lo pensa, lo sussurra. Diciamolo forte, insieme. Accettare che tutto ciò sia solo la ‘dura normalità’ ci rende tutti meno liberi e meno umani”. Questo scrivevamo nel volantino che invitava alla manifestazione del 7 agosto. E il 7 agosto (giorno in cui Stefano avrebbe compiuto 49 anni) una parte significativa, variegata della città lo ha effettivamente detto, e forte: “Non si può morire così”. Sentiamo ancora l’emozione delle parole, dei silenzi intensi, della presenza fisica delle centinaia di persone che hanno voluto partecipare al corteo.

Martedì 21 luglio, finito il lavoro, Stefano sta girando in bicicletta per Rovereto. Qualche ora dopo, viene trovato morto in una cella di via Prati. Un arresto l’ha ucciso. In fondo, la tragica vicenda si potrebbe riassumere tutta con queste parole. Dure quanto basta.
Ma troppe sono le incongruenze, le contraddizioni, le lacune, le omissioni contenute nel verbale di arresto per poterle tacere. Se le attenzioni dell’inchiesta sembrano concentrarsi (casualmente?) su ciò che è o sarebbe accaduto in carcere, per noi le domande cominciano ben prima: in strada e in caserma.
· Perché una persona che non ha precedenti per droga viene fermata e perquisita da due carabinieri in borghese?
· Chi può credere che qualcuno a cui non viene trovato nulla addosso dichiari allegramente e spontaneamente ai carabinieri di avere dell’hashish… a casa?
· Com’è possibile che nel suo appartamento gli uomini dell’Arma trovino dell’hashish “abilmente nascosto” – così scrivono – sotto un mobile senza spostare null’altro in casa (se non un cassetto: le uniche cose, guarda caso, citate nel verbale di perquisizione e di arresto)?
· Com’è possibile che nessuno tra i vicini si sia accorto della perquisizione (operazione solitamente non poco rumorosa)?
· Perché, prima di essere riaccompagnato dai carabinieri, Stefano prende i pantaloni della tuta da ginnastica (col cordino della quale si sarebbe poi impiccato), senza però prepararsi nient’altro per il carcere?
· Perché i jeans e gli indumenti intimi non sono stati riconsegnati alla famiglia?
· Perché nessuno è stato avvisato dell’arresto di Stefano (cosa che già in caserma si sarebbe dovuta fare)?
· Cos’è accaduto davvero in caserma?

Le domande sarebbero tante altre ancora. Ma queste bastano per dire che non crediamo alla versione ufficiale. E che della morte di Stefano continueremo a parlare. A lungo.
Perché così non si muoia mai più.

VENERDI’ 21 LUGLIO dalle ore 18.00 PRESIDIO in PIAZZA LORETO, ROVERETO

“Non si può morire così” familiari, amici e solidali di Stefano


Assemblea pubblica ogni lunedì dalle ore 20.00, ai giardini “Perlasca” di Rovereto.

martedì 18 agosto 2009

Incontro di ieri ai giardini Perlasca

Questo è il terzo incontro, noi familiari siamo soddisfatti e allo stesso tempo sorpresi dalla partecipazione di molti cittadini di Rovereto e dintorni che hanno fatto propria una causa di una persona che neanche conoscevano , questo per noi è un grande sostegno che ci aiuta a cercare di superare questa situazione tragica.
Ieri è stato deciso che venerdì 21 alle ore 18 ci sarà un presidio autorizzato in piazza Loreto dove ognuno potrà esprimere le proprie considerazioni.

domenica 9 agosto 2009

Appello di Luisa Zanotelli

Perché e come è stata fatta la perquisizione?

Come donne e come cittadine di Rovereto esprimiamo sconcerto e dolore per quanto è accaduto, giorni or sono, a Stefano Frapporti e, nel rappresentare ai familiari la nostra solidarietà, non possiamo fare a meno di farci alcuni interrogativi ai quali riteniamo sia giusto ottenere risposte.

Sono interrogativi che investono l'organizzazione della nostra società, i ruoli, i poteri e le funzioni delle Forze dell'Ordine, nonchè il senso delle leggi che anche recentemente sono state introdotte nel nostro ordinamento.
Possono Forze dell'Ordine in borghese fermare cittadini incensurati e nei confronti dei quali non vi sono estremi di reato mentre tranquillamente transitano per strada, sottoporli a perquisizioni personali, accompagnarli presso la loro abitazione e, anche senza l'autorizzazione di un Magistrato, sottoporre a perquisizione detta abitazione? Le perquisizioni non dovrebbero essere disposte solo quando esistono già gravi indizi di reato e comunque non dovrebbero essere autorizzate previamente da un Magistrato?
Inquieterebbe molto il sapere che Forze dell'Ordine, senza gravi indizi di reato e senza l'autorizzazione di un Magistrato, si sentano autorizzate ad operare non solo fermi per "accertamenti", ma anche perquisizioni personali e domiciliari. Ne deriverebbe un grande senso di estraneità con l'operato delle Forze dell'Ordine e di insicurezza rispetto alla propria libertà individuale.
Chi viene fermato ed incarcerato non dovrebbe essere posto nella condizione di non fare del male a sè ed agli altri? ed ancora, se accadono fatti traumatici che determinano il decesso in carcere, non dovrebbero essere eseguiti degli approfonditi accertamenti sulle cause e le modalità che hanno portato al decesso escludendo categoricamente la necessità di ogni indagine suppletiva prima di essere autorizzata la sepoltura e/o la cremazione?
Attendiamo risposte.

Rita Farinelli, Sandra Dorigotti, Nives Fedrigotti

sabato 8 agosto 2009

Buon compleanno, Stefano...

Nessuna bandiera, tanta gente, tanti amici, almeno 300 persone. C'era la Rovereto che si pone qualche domanda e che vorrebbe vederci chiaro. Questo è emerso dalla manifestazione svoltasi ieri a Rovereto. Un corteo pacifico che ha preso le mosse verso le 18,15 da Piazza Loreto e che in 4 tappe (la stessa piazza, Largo delle Poste, Corso Rosmini nei pressi del Penitenziario e lo slargo di via Fontana) ha permesso alla gente di dire ciò che aveva nel cuore.
C'è la Rovereto di tutti i giorni, famiglie con figli al seguito e c'è la Rovereto dell'impegno politico e anche degli ambienti legati alla disubbidienza civile. Ci sono soprattutto gli amici di Stefano, la sorella, il padre, i fratelli, i nipoti.
"Vogliamo che sia un momento di pace e che il nostro corteo sia pacifico" aveva esordito la sorella di Stefano Frapporti, morto il 21 luglio scorso nel carcere di Rovereto a poche ore dall'arresto. Nella rete una sua intervista rilasciata ad un giornalista del blog di Beppe Grillo, mandato appositamente dal comico, sembrerebbe smentire ogni dubbio, ma lei rilancia di nuovo "Vogliamo solo capire".
In un angolo della piazza l'anziano padre, ammutolito dal dolore, lo sguardo perso nel vuoto. Accanto il nipote Fabrizio che in questi giorni ha sostenuto la mamma e gli zii, ovvero gli altri due fratelli maggiori di Stefano, presenti anche loro dietro l'auto con il megafono e con lo striscione "Non si può morire così". A sostenerlo anche le cognate e gli amici.
Toccante l'intervento di uno di questi, in una delle ultime tappe: Romeo con a voce rotta dalle lascrime. "Oggi dovevamo andare al mare, la sera prima stavamo chiacchierando con una birra. Perchè? Perchè? Possiamo essere sospettati anche per una birra? Perchè è accaduto, che una persona venga fermata a 50 anni e finisca in questo modo?". Poi l'emozione ha il sopravvento e Romeo torna tra la folla. Più tardi ci dice: "Aver fermato Stefano è come aver sparato sulla Croce Rossa. Era una persona pulitissima".
Agli interrogativi della famiglia hanno fatto riscontro accuse più esplicite del movimento degli Anarchici di cui oggi dà ampiamente conto la stampa locale. Per loro la storia fa acqua da tutte le parti e non si tratta di una caso di suicidio. Stefano - a detta loro - sarebbe stato ucciso.
A dar fiato a questa versione c'è però anche uno dei due fratelli della vittima che ad un certo punto in via Tacchi - a pochi passi dal penitenziario - sente la spinta di andare al microfono. "Se mio fratello ha fatto quel che ha fatto vuol dire che ha subìto pressioni e perciò è stato spinto a farlo. Quindi per me è stato ucciso", dichiara. Poco prima, intervenendo insieme alla sorella alla partenza del corteo aveva affermato di non credere più alla giustizia.
Una madre che ha perso un figlio in un incidente di lavoro prende la parola e invita la gente a rompere il silenzio. "A me hanno tolto tutto ciò che avevo perciò non ho nulla da perdere e dico che ormai stiamo già vivendo nel terrore. E se la gente non parla mentre tutti qui vorrebbero dire qualcosa è proprio per questo: hanno paura di esporsi".
E in effetti durante il corteo, assolutamente pacifico, assolutamente composto, il mormorare è tanto. Un amico di Stefano racconta di un pestaggio subito dopo essere andato a sporgere una contro-querela. "Certo che mi rode il fatto di Stefano" confida "eravamo amici, era una bravissima persona".
Luisa Zanotelli legge un appello che introduce molte domande sulle modalità della perquisizione: la mancanza di testimoni, la probabile mancanza di un mandato data la rapidità in cui si sarebbe svolta. E parte una raccolta di firme.
Paolo Rosà resta per tutto il tempo con un cartello tra le mani che chiede "Trasparenza e Verità".
C'è chi porta la solidarietà ai familiari e chi riflette sul delicatissimo momento che si sta vivendo. Alla manifestazione che non ha mai registrato episodi di tensione ed è terminata alle 20 hanno assistito molti agenti in borghese. E alla fine la sorella sbotta "Quando ci siamo riuniti l'altra sera ai Giardini Perlasca era un via vai di auto dei Carabinieri, oggi neanche una. Solo una volante della Polizia". Uno sguardo verso il cielo e un lunghissimo applauso parte dalla piazza. "Ciao Stefano, Buon Compleanno".
Poco prima una lettura dei fatti di questi giorni da parte di un'amica di Stefano che merita una riflessione. "Siamo cresciuti insieme - dice - abbiamo condivisivo momenti bellissimi insieme. Ve lo dico io perchè Stefano è morto: è morto perchè gli è stata tolta la dignità della persona. Era la prima cosa che facevano anche con gli ebrei i nazisti: li denudavano per privarli della loro dignità. Non dobbiamo permettere a nessuno che ci venga tolta la dignità. Quello che è successo a Stefano può accadere a tutti, dobbiamo esserene consapevoli e ricordarlo sempre".
Corona Perer

giovedì 6 agosto 2009

Muore in cella è giallo a Rovereto

Domani avrebbe compiuto 50 anni e a Rovereto, con una manifestazione che partirà alle 18 da piazza Loreto, amici, parenti e le associazioni per la pace chiederanno verità e giustizia sulla sua morte. Stefano Frapporti era un muratore di Isera, vicino a Rovereto. Tutti lo chiamavano «Cabana», era molto conosciuto in città. E' morto nella notte tra il 21 e il 22 luglio in carcere dopo essere stato arrestato per detenzione di hashish. Stefano si è suicidato nella sua cella con il laccio della tuta che aveva indosso, intorno a mezzanotte. Ma i lati oscuri di questa vicenda sono tantissimi. La procura ha aperto un'inchiesta per «suicidio a seguito di altro delitto». Intanto la famiglia e gli amici ancora sconvolti e confusi cercano di mettere insieme la storia che ha portato Stefano - incensurato, un tipo tranquillo, timido, con una vita regolarissima - non solo a finire in carcere, ma ad uscirne cadavere. «Vogliamo soltanto sapere la verità» dice Ida Frapporti, la sorella maggiore. Secondo quanto sono riusciti a ricostruire i famigliari, attraverso i verbali e qualche testimone oculare, le cose sono andate così: Stefano viene fermato martedì pomeriggio da due agenti in borghese mentre è in bicicletta. Perché viene fermato? «Ci è stato detto dai carabinieri - racconta Ida - che stava circolando sul marciapiede. E che loro si trovavano lì per tenere d'occhio un bar lì vicino dove ci sarebbe un giro di spaccio di hashish». Secondo quanto raccontato da alcuni testimoni oculari, il fermo sarebbe stato anche abbastanza violento. Ma Stefano addosso non ha nulla, solo cento euro (risulterà che li aveva ritirati in banca tre giorni prima). Forse era uscito da casa per andare a comprare qualcosa: il venerdì successivo doveva partire per le vacanze con alcuni amici. E qui accade la prima cosa strana: nel verbale c'è scritto che Stefano informa i carabinieri di avere «due spinelli», ma a casa sua. Da questa sua spontanea confessione, sarebbe partita la decisione degli agenti di fare una perquisizione a casa di Stefano. Al momento non risulta però che i militari avessero alcun mandato. Entrano nell'appartamento con lui, e lì trovano circa un etto di hashish, diviso in alcuni pezzi. Scatta l'arresto, in base alla legge Fini-Buttiglione. Stefano si cambia, indossa una tuta e segue gli agenti, che sequestrano anche una bilancia. In una lettera scritta a L'Adige il padre, 85 anni, si stupisce del sequestro: «Gliel'avevo regalata io, l'ho comprata alla Lidl...». In carcere per un'ora Stefano chiacchiera con le guardie. Dicono che sembrava tranquillissimo, racconta loro anche come ha perso due falangi della mano destra in un incidente sul lavoro. Si rifà il letto da solo. Alle 23.35 viene chiuso nella sua cella. Al controllo delle 24 lo trovano impiccato. Gli erano stati tolti i lacci delle scarpe ma non quello della tuta. Mistero. E i misteri proseguono: nessuno avverte la famiglia fino alle 10 della mattina dopo. «Ci hanno detto che non sapevano come rintracciarci, e che hanno dovuto aspettare il giorno dopo l'apertura dell'ufficio dell'anagrafe. Eppure avevano il telefonino di Stefano, in nostri nomi potevano trovarli lì». Quando la famiglia viene finalmente informata si precipita in carcere. Ma non potranno vedere il corpo di Stefano - che è già stato portato nella camera mortuaria del cimitero - fino al compimento dell'autopsia, due giorni dopo. «Lo abbiamo visto che era già stato vestito. Che dire? il viso appariva un po' scuro, ma erano passati due giorni, il caldo...non so», dice Ida. Ci sono altre cose che l'allarmano: «Il fatto che Stefano avesse firmato per non telefonare a nessuno. Mi sembra stranissimo. Io gli facevo da mamma, mi chiamava per qualsiasi sciocchezza. Il comandante della polizia penitenziaria poi mi ha raccontato che a un certo punto avrebbe voluto chiamarmi, ma avendo già firmato la rinuncia non è stato possibile». E aggiunge Ida: «Mi chiedo come un normale cittadino che va in bicicletta possa essere fermato, finire in carcere, e morire così. Tutti devono sapere».

di Cinzia Gubbini

Tratto da Il Manifesto 06/08/2009

mercoledì 5 agosto 2009

Perché?

In una sera d’estate, a Rovereto, Stefano Frapporti, dopo aver saltato un rosso in bicicletta, viene prelevato da due carabinieri e portato in caserma. Ne segue una perquisizione domiciliare con la quale i carabinieri trovano un etto di hashish. Arresto immediato, conduzione in carcere, suicidio. Tutto in una notte.
Il giorno dopo viene ordinata la cremazione del cadavere all’insaputa della famiglia; la famiglia riesce a bloccare la cremazione. Finalmente la procura apre un’inchiesta. Questa è proprio una brutta storia perché Stefano era un artigiano falegname, incensurato; secondo chi lo conosceva era gran lavoratore, non faceva casini, non partecipava a manifestazioni, viveva una vita tranquilla del tutto simile alle nostre; una sola grande colpa: probabilmente quando arrivava a casa la sera invece che scolarsi alcolici, si faceva una canna per rilassarsi e chiudere la giornata.
Niente politica in questa storia, ma molte domande.
Perché i carabinieri portano Stefano in caserma? È stato perquisito? Cosa gli è stato trovato addosso? Il fermo sembra non sia stato notificato al giudice (lo si devenotificare entro 48 ore), in che stato era Stefano al suo arrivo incarcere? Per ora non si sa, e la fretta per la cremazione fa nasceremolti sospetti riguardo al suo stato di salute. È forse statopicchiato? E da chi? Per regolamento (questa è la dichiarazione della direzione delcarcere) l’arrestato non può prendere contatto con i familiari, e conun avvocato? Lo stesso regolamento non permette che il carcerato abbia addossocinture o lacci, quelli con cui Stefano si è impiccato. Come uomo sono rattristato per la morte di Stefano, come cittadinosono molto preoccupato per l’opacità che caratterizza questa vicenda. Com’è possibile che un normale cittadino finisca in carcere la sera ela mattina esca cadavere? Di chi è la responsabilità? Delle guardiecarcerarie che lavorano in un carcere sovraffollato con cento detenutiinvece che trenta? O di chi ha portato Stefano in carcere, dato che sivoleva far sparire subito il corpo con la cremazione ? Vorrei leggereun’intervista in cui il maresciallo rassicura la comunità sull’operatodei suoi uomini.La classe politica roveretana, la coscienza civile, gli intellettualidi professione, dove sono? Anche quest’anno in vacanza, niente domandeda parte loro? Signor sindaco almeno uno straccio di dichiarazione di cordoglio ai familiari!Io penso che siamo tutti uguali di fronte alla Legge e chi ha sbagliato (perché qualcuno qui ha sbagliato) debba assumersi leproprie responsabilità. Stefano non merita un’altra manfrina italiana.

Paolo Fabris

Tratto dal blog www.cittadinirovereto.it

domenica 2 agosto 2009

Intervista ai familiari di Stefano

Ida è la sorella di Stefano Frapporti 'Cabana'. Gli ha fatto da mamma, per tanti anni. Con i suoi due fratelli ha vissuto tutta la vicenda dell'arresto e del seguente suicidio in carcere con grandissima angoscia. «È morto martedì 21, alle undici e mezza di notte. Ci hanno avvertiti il giorno dopo, alle 10 di mattina, telefonando al papà che ha 85 anni. Era la Polizia penitenziaria, ma nella fretta abbiamo capito solo Polizia, e siamo corsi al Commissariato. Lì ci hanno detto di andare dai Carabinieri. Alla caserma non abbiamo capito niente: noi disperati, loro quasi indispettiti. Non siamo riusciti a farci dire le tre cose che volevamo: «dove, a che ora, come è morto?». Ida ha uno sguardo carico: «Non accuso nessuno, ma sono passate 12 ore dalla sua morte prima di capirci qualcosa. Siamo andati al carcere, le guardie ci hanno spiegato. Abbiamo saputo che era arrivato alle 22,30 e che fino alle 23,30 ha parlato con le guardie. Gli ha spiegato perché gli mancavano due dita. Più tardi il piantone lo ha visto ancora in piedi, gli ha detto di riposare. Lui ha risposto "non ho sonno". Dieci minuti dopo l'hanno trovato morto». I fratelli hanno lo sguardo limpido: «Ci hanno spiegato che gli hanno chiesto se voleva telefonare a qualcuno, a un avvocato, ed ha rifiutato». Alla fine si è impiccato con il cordone della tuta da ginnastica. «Quando era uscito di casa aveva i pantaloni con la cintura - dice Ida - e dopo la perquisizione con i Carabinieri a casa sua si è cambiato, ha messo i pantaloni della tuta.Alla fine ci hanno restituito solo quelli, gli altri vestiti non si sa». I fratelli hanno deciso di rompere il silenzio: «Lo facciamo perché non succeda ad altri». E sono pieni di domande e dolore: «Abbiamo parlato con gente che ha assistito all'arresto. I due carabinieri erano in borghese, ci hanno detto che è stata una scena estremamente violenta». Si riservano di portare i testimoni in tribunale. Addosso a Stefano, in via Campagnole dove transitava in bicicletta, non viene trovato nulla. È pulito. «Poi nei verbali c'è scritto che lo portano a casa sua, per una perquisizione. Ecco - dice Ida - ci piacerebbe vedere il mandato di perquisizione, firmato da un magistrato». Hanno sentito tante voci. «Qualcuno ha detto che è stato cremato senza farcelo vedere. Non è vero: ce l'hanno fatto vedere dopo l'autopsia, il terzo giorno. Era tutto nero. È stato cremato perché ha voluto così il papà, perché potesse essere insieme alla sua mamma». Come hanno vissuto questi giorni? «Con l'affetto di tanta gente, tantissima, che ci ha fatto coraggio. Martedì pare che ci sarà un'altra manifestazione, autorizzata. Ringraziamo tutti, che sia ricordato».

Gigi Zoppello, L'Adige di sabato 1 agosto

Lettera dal padre di Stefano Frapporti

Sono il papà di Stefano Frapporti, ho 85 anni e sono perfettamente consapevole di quello che sto dicendo. In merito all'arresto ed alla morte in carcere di mio figlio, mi sento di esprimere oggi tutti i dubbi e le domande che ogni genitore si porrebbe.
Mio figlio era incensurato, con una fedina penale ineccepibile. Non capisco quindi come, libero cittadino che si fa un giro in bicicletta alla fine di una lunga giornata di lavoro, mio figlio venga fermato da due persone in borghese, in malo modo e con pesanti insulti, come ho avuto modo di apprendere da testimoni oculari dell'evento.
Sono perfettamente al corrente, come ho visto dal verbale dei Carabinieri, che addosso a mio figlio non è stato trovato nulla se non gli effetti personali ed il telefonino.
Come mai una persona così è stata sottoposta a una perquisizione domiciliare senza alcuna assistenza legale o di un testimone? E chi mi dice che quello che dichiarano i Carabinieri è vero, comprese le quantità sequestrate? Perché conoscendo il carattere fragile di mio figlio, so che non lo avrebbe mai sopportato, proprio perché profondamente onesto. E lo conoscevo bene, perché ho vissuto con lui fino a quattro anni fa, nello stesso appartamento.
Sarebbe bastato alle autorità visionare il suo estratto conto bancario per capire l'onestà di Stefano: l'ultimo prelievo bancario l'aveva fatto alla Rurale, ed erano i soldi che aveva in tasca e che non erano certo proventi di spaccio.
Dal momento dell'arrestofino a dopo i funerali, quattro giorni, non ho avuto alcun tipo di informazioni o notizie, se non la dichiarazione di morte.
Vengo a sapere dal verbale dei Carabinieri che gli è stata persino sequestrata in casa una bilancia da cucina, che io stesso gli avevo regalato e avevo comperato alla Lidl. Io personalmente, con il mio paio di chiavi, mi sono recato nel suo appartamento e non c'è alcun segno di perquisizioni.
E non sapremo mai la verità perché gli è stata negata la presenza di un testimone.
Sono consapevole che non avrò mai più indietro mio figlio, ma penso ora al futuro di tanti giovani e persone che potrebbero trovarsi nella stessa situazione, per colpa di una legge. Certi fatti però, oltre che con la legge, andrebbero valutati con l'umanità.
La mia non è una vendetta, Carabinieri e Guardie carcerarie sapranno rispondere alle loro coscienze. C'è solo da implorare il perdono per chi ha sbagliato e sperare che la vita umana, con cui hanno a che fare tutti i giorni, sia sempre davanti a loro.
Mi affido perciò, con grande speranza, alla Giustizia perché mi diatutte le risposte alle domande che ho nel cuore».

Lettera pubblicata su L'Adige di sabato 1 agosto

Solidarietà dal gruppo PD

Non deve succedere mai più


La morte tragica di Stefano Frapporti ha colpito profondamente gli esponenti del Pd roveretano che non vogliono rimanere in silenzio di fronte al dramma consumatosi in carcere ed hanno espresso un documento a nome del Gruppo

Consiliare Comunale. «Sbigottisce - scrivono - la facilità con cui un cittadino qualsiasi, senza precedenti, una persona con una vita familiare e sociale nella norma, possa essere fermato per un’infrazione stradale e, dopo una perquisizione domiciliare che rivela il possesso di hashish, incarcerato. E sconcerta e addolora una morte solitaria e disperata. Pur non volendo esprimere alcuna valutazione sulla delicata questione delle eventuali responsabilità, per le quali è in corso un’indagine, non si può tacere il turbamento e la rabbia per una morte assurda che si poteva evitare, per una legge (quella sulla detenzione di sostanze stupefacenti) dura e disumana, che spesso criminalizza persone senza colpa. E la rabbia cresce quando si pensa che individui ben più pericolosi nel nostro Paese vivono in libertà e delinquenti pluricondannati godono di speciali immunità e impunità. Tutto questo colpisce anche perché accade a Rovereto, città della pace. E colpisce perché, se è accaduto a Stefano, a quanti altri potrebbe accadere? Al di là di quelli che saranno i risultati dell’indagine, è necessario che la città, le forze di polizia, le istituzioni, i soggetti che lavorano nel sociale riflettano su questa vicenda. Ci deve pur essere un modo perché ciò non accada più. Ci deve pur essere un modo per attenuare le conseguenze perverse di una legge che potrebbe essere applicata con una maggiore sensibilità, con una maggiore accortezza. Soprattutto nei confronti di quanti possono rimanerne colpiti e umiliati in modo più violento e tragico proprio perché estranei al mondo della criminalità».


Tratto da L'Adige, 01 agosto 2009