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Non si può morire così...
Stefano Frapporti era un muratore di 48 anni. Il 21 luglio 2009 andava in giro in bicicletta quando è stato fermato da due carabinieri in borghese per un'infrazione stradale. Portato in carcere perché sospettato di spaccio non uscirà mai vivo dalla cella.

Questo blog nasce dalla volontà della famiglia di ottenere chiarezza su quel che è successo a Stefano e per chiedere che venga fatta giustizia.



ASSEMBLEA PUBBLICA TUTTI I MARTEDI' DALLE 20.00 ALLA SEDE DELL'ASSOCIAZIONE "STEFANO FRAPPORTI" IN VIA CAMPAGNOLE 22.

lunedì 22 febbraio 2010

Carcere. I famigliari dei detenuti morti chiedono allo Stato risposte

Le associazioni e alcuni parlamentari insieme ai parenti dei detenuti hanno promosso una conferenza stampa in Senato dal titolo “Quando lo stato sbaglia: Casi, storie e proposte”


Troppi morti nelle carceri italiane: 1.579 solo negli ultimi 10 anni. Oltre 500 suicidi, altrettanti casi sui quali la magistratura ha aperto un’inchiesta. Ma quando lo Stato sbaglia, quando non riesce a garantire la vita a persone detenute, dovrebbe almeno dare delle risposte chiare e oneste ai loro famigliari. Le associazioni ed alcuni parlamentari denunciano da tempo il dramma delle troppe morti in carcere, ma adesso anche i famigliari dei detenuti hanno trovato il coraggio di darsi voce e terranno una conferenza stampa in Sala Stampa del Senato. Finora erano stati “esclusi”, erano gli “ultimi” anche loro, ma hanno cominciato a farsi sentire, anche grazie anche a un’informazione giornalistica finalmente attenta, che ce li ha mostrati come sono, cioè “persone perbene”, persone “come noi”. In tanti si sono fatti avanti per chiedere allo Stato risposte “chiare e oneste” sulla morte dei loro cari e saranno presenti alla conferenza stampa: Rudra Bianzino, Clara Blanco, Adriano Boccaletti, David Boccaletti, Rita Calore, Maria Ciuffi, Mario Comuzzi, Ilaria Cucchi, Antonietta Di Sarro, Francesca Dragutinovic, Patrizia Favero, Rosa Federici, Ida Frapporti, Martina La Penna, Angela Lescai, Bruno Martini, Giorgio Naccari, Anna Petrillo, Roberto Poli, Cristiano Scardella, Ezio Sobrero, Fabio Tittarelli, Laura Traviotto. I figli, fratelli, padri, di queste persone sono entrati in carcere, da vivi e sani, e ne sono usciti morti: cos’è successo mentre erano sotto la “custodia” dello Stato? hanno subito violenze? hanno avuto una malattia e non sono stati curati? Domande che loro da anni pongono, ma che non hanno avuto risposta o, più spesso, hanno avuto “risposte” che non hanno chiarito quasi nulla. La garanzia del diritto alla vita per chi è privato della libertà passa anche attraverso le risposte che le istituzioni del nostro Paese vorranno dare a questi cittadini. Infatti, quella che viene posta è una questione di cittadinanza, di rispetto dei diritti civili, più ancora che un richiamo alla trasparenza delle carceri, e di quello che avviene al loro interno, che pure è importante, in un momento in cui le condizioni di vita delle persone detenute sono davvero sempre meno rispettose di un altro diritto, quello a non subire trattamenti disumani o degradanti. Ma non solo, per i parenti dei detenuti morti in condizioni non chiarite è una questione “d’onore”, è la possibilità di dare una morte rispettabile ai propri cari. Per “morte rispettabile” intendono il poter rispondere in futuro in modo chiaro e univoco sulle cause e sulle modalità di quella morte. È come se un parente chiedesse alle istituzioni “Cosa risponderò ai miei figli quando mi domanderanno come è morto quel nostro famigliare in carcere?” e non avesse mai una risposta, e fosse costretto a spiegare che una istituzione che non tutela il diritto alla vita e alla salute dei propri cittadini in carcere è un’istituzione che non tutela i diritti di tutti. Che non risponde perché non è capace di prendersi le proprie responsabilità, che non sa di avere una responsabilità. Eppure le istituzioni della giustizia, proprio perché dovrebbero seguire le persone condannate in un loro percorso di assunzione di responsabilità rispetto al reato, e alle vittime di quel reato, dovrebbero anche, per prime e con coraggio, rispondere in modo responsabile a tutti i cittadini, e primi fra tutti a quei famigliari che hanno perso un loro caro, morto “di carcere”. Saranno presenti alla conferenza stampa, per sostenere le richieste dei famigliari dei detenuti Emma Bonino, vice presidente del Senato; Rita Bernardini, deputata, membro della Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati; Ignazio Marino, Presidente della Commissione d’inchiesta parlamentare sul caso Cucchi; Donatella Poretti, senatrice e segretaria della Commissione Igiene e Sanità al Senato; Irene Testa, segretaria dell'Associazione radicale “Il Detenuto Ignoto”; Alessandro Gerardi, avvocato di “Radicali Italiani”; Ornella Favero, direttore di “Ristretti Orizzonti”; Laura Baccaro, criminologa, co-autore del libro “In carcere, del suicidio e altre fughe”.

Lettera aperta di Giuseppe Bianzino

da veritaperaldo.noblogs.org

Il caso recente di Stefano Cucchi e, quello ancor più recente, di Giuseppe Saladino a Parma (Il Manifesto dell'11 novembre), hanno richiamato l'attenzione sui casi di Marcello Lonzi e di mio figlio Aldo Bianzino, anch'essi morti in carcere in circostanze tutte da chiarire (chissà quando e sopratutto se). Ora, volendo esaminare il caso di Aldo, bisogna precisare alcune cose.
Il P.M. dott. Giuseppe Petrazzini, che aveva fatto arrestare Aldo e la sua compagna la sera del venerdì 12 ottobre 2007, è lo stesso magistrato che ha in carico le indagini sul suo successivo decesso avvenuto nella notte tra il 13 e il 14. Aldo era stato messo in cella di isolamento nel carcere "Capanne" di Perugia. Era stato visto da un medico, che l'aveva riscontrato sano e da un avvocato d'ufficio, col quale aveva parlato verso le 17 di sabato. Non sono disponibili registrazioni di telecamere su ciò che è avvenuto successivamente, né, dopo il decesso, la cella risulta sia stata isolata e sigillata, né che siano stati chiamati per un intervento i reparti speciali di indagine dei carabinieri. A detta degli altri detenuti del reparto, durante la notte Aldo aveva suonato più volte il campanello d'allarme ed aveva invocato l'assistenza di un medico, sentendosi anche, pare, mandare al diavolo dall'assistente del corridoio, la guardia carceraria Gian Luca Cantore, attualmente indagato. Fatto sta che verso le 8 del mattino di domenica le due dottoresse di turno, arrivate a svolgere il loro turno di servizio, trovarono il corpo di Aldo, con indosso solo un indumento intimo (e siamo a metà ottobre, non ad agosto). I suoi vestiti si trovavano nella cella, accuratamente ripiegati (cosa che Aldo, in 44 anni, non aveva fatto mai). Le due dottoresse provarono di tutto per rianimarlo, ma alla fine dovettero desistere: Aldo era morto. L'autopsia, svoltasi il giorno dopo, diede risultati controversi: si parlò prima di due vertebre poi di due costole, rotte, poi tutto fu negato. Di certo ci fu un'emorragia celebrale e un'altra di 200 ml., al fegato. Segni esterni di percosse o violenze, nessuno (i professionisti sanno come si fa C.I.A. insegna). Ora, l'emorragia cerebrale è stata amputata ad un aneurisma, quella epatica ad un maldestro tentativo di respirazione artificiale, che le due dottoresse respingono nel modo più assoluto (e ci mancherebbe, si tratta di medici, mica di personale non qualificato), ma nessun altro ha affermato d'aver fatto tentativi in tal senso. Ora, può accadere quando si è nelle mani delle "forze dell'ordine", lo abbiamo purtroppo visto in molti casi, basterebbe pensare al G8 di Genova, e magari al colloquio recentemente intercettato nel carcere di Teramo (i detenuti non si massacrano in reparto, ma sotto!). L'emorragia cerebrale potrebbe benissimo essere stata la conseguenza di uno stress per colpi ricevuti in altre parti del corpo, immaginatevi l'angoscia e il terrore di una persona in quelle condizioni. In ogni caso credo proprio di poter dire in tutta coscienza che Aldo è stato assassinato in un ambiente violento e omertoso, del quale non si riesce neppure a sapere i nomi del personale presente quella notte nel carcere. Quanto al dott. Petrazzini, mi sembra che dignità gli imporrebbe di passare ad altri il suo incarico, date le omissioni, invece di insistere come sta facendo, per ottenere l'archiviazione del caso.
Ma i veri assassini sono coloro che hanno voluto ed ottenuto una legge sulle "droghe" come l'attuale, persone che nella loro profonda ignoranza considerano in modo globale, senza distinzioni. Una legge fascista e clericale, da stato etico e peggio, da stato che manda in galera (con le conseguenze che si sono viste) il poveraccio che coltiva per uso personale qualche pianta di cannabis, mentre, se la droga (quella pesante, cocaina o altre sostanze) circola nei festini dei potenti, non succede nulla. Vorrei dire comunque che un paese che considera delitto la detenzione e l'uso di droghe, magari solo marijuana, o l'essere "clandestino", pur non avendo colpe e quasi sempre per sfuggire a condizioni di vita impossibili, uno stato che avendo preso in custodia delle persone, è responsabile a tutti gli effetti delle loro vite e della loro salute, uno stato che non riconosce come reato gravissimo la tortura, uno stato che difende i forti e i potenti e non i deboli, è uno stato che non può ritenersi civile e non può chiedere ai suoi cittadini (o sudditi?) di amare la propria patria.
Ci auguriamo che altri blog e altri siti vogliano riprendere questa lettera denuncia e contribuire ad impedire che il buio nasconda la vicenda di Aldo Bianzino e quanto accAdrà nelle prossime settimane nelle aule di quel tribunale.

Video per non dimenticare

venerdì 19 febbraio 2010

Quando sbaglia lo Stato uccide.
Roma, 16 febbraio 2010


Il butano non spacca il naso, non spezza le dita...«Maria Eliantonio mostra le foto di Manuel, suo figlio di 22 anni ucciso a Marassi. “Suicidato” dice la verità ufficiale ma lei non ci può credere. Sarebbe uscito pochi giorni dopo e, poche ore prima di crepare aveva scritto che lo riempivano di botte e psicofarmaci. Come Maria, una piccola folla di donne e uomini ha potuto raccontare - ieri alla sala stampa del Senato - la propria vicenda di parenti di vittime di malocarcere, cattiva giustizia e ferocia di forze dell’ordine o di ospedali psichiatrici. Ognuno aveva con sé foto, faldoni, carteggi. E un dolore raccontato mille volte per anni. Un massacro come quello che ha subito suo figlio Riccardo, Duilio Rasman, 84 anni, le aveva viste solo in tempo di guerra: sei poliziotti gli sono saltati addosso e quel ragazzo tornato “strano” dal militare s’è schiantato. Cristiano Scardella lo racconta da 25 anni il “suicidio” di suo fratello Aldo, finito dentro innocente e mai più uscito. Nessuno ha mai chiesto scusa. La madre di Riccardo Boccaletti spiega la morte lenta, «annunciata» del suo ragazzo in galera a Velletri, disidratato e rimpinzato di psicofarmaci. Anche la madre di Katiuscia Favero non crede al “suicidio” di sua figlia, 12 giorni prima di uscire dall’Opg di Castiglione delle Stiviere: aveva la tuta sporca d’erba ma le suole asciutte e non poteva essersi impiccata a una rete da pollaio. Qualcuno ha fatto sparire il certificato ginecologico che provava gli abusi nella struttura. Anche la sorella di Stefano Frapporti non riesce a credere che, dopo due ore in mano ai carabinieri suo fratello si sia ucciso col laccio di una tuta spuntata chissà da dove. Rita e Ilaria Cucchi, madre e sorella di Stefano annunciano l’ultimo mistero: dov’è la tac? Perché quattro mesi dopo Stefano non può riposare in pace? La madre di Marcello Lonzi ha mandato una lettera per ricordare la sua lotta per riaprire l’inchiesta sulla morte alle Sughere di suo figlio.
Quando lo Stato sbaglia, uccide. Irene Testa, che ha convocato la piccola folla dolente, è la segretaria dell’associazione radicale “Il detenuto ignoto”. Chiede che si faccia luce su questi e altri casi magari con una commissione ad hoc del Senato e si unisce al digiuno della deputata Bernardini che da due settimane chiede che si apra un serio dibattito sul carcere. Dov’è finito lo stuolo di deputati bipartisan che - due mesi fa - si facevano belli intorno alle foto di Cucchi massacrato? L’assenza di un’autentica sinistra parlamentare (e di un movimento di massa fuori) si avverte ma non c’è nessuno a evocarla. «La strada sarà lunga», dice Emma Bonino alla platea di familiari coraggiosi, quasi soli e disperati.
Poche ore dopo arriva la notizia di un tentato suicidio al un venticinquenne tunisino che dalla fine di gennaio si trovava recluso al Cie di Ponte Galeria: è montato in cima al cancello della gabbia e poi si è gettato al suolo. Aveva già tentato il suicidio venerdì. Succede due volte al giorno nelle carceri italiane e le morti violente sono 4 volte più che negli Usa.

Checchino Antonini

in data:17/02/2010

giovedì 18 febbraio 2010

Rappresentazione teatrale




Sabato 20 febbraio 2010 - Bologna Teatro San Leonardo - ore 20.30

Venerdi 26 febbraio 2010 - Trento Sala circoscrizionale via Perini 2 - ore 20.30

mercoledì 10 febbraio 2010

lunedì 8 febbraio 2010

da "Questo Trentino"

Il periodico "Questo Trentino" ha pubblicato un articolo di Fabrizio Rasera sulla nostra rappresentazione.