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Non si può morire così...
Stefano Frapporti era un muratore di 48 anni. Il 21 luglio 2009 andava in giro in bicicletta quando è stato fermato da due carabinieri in borghese per un'infrazione stradale. Portato in carcere perché sospettato di spaccio non uscirà mai vivo dalla cella.

Questo blog nasce dalla volontà della famiglia di ottenere chiarezza su quel che è successo a Stefano e per chiedere che venga fatta giustizia.



ASSEMBLEA PUBBLICA TUTTI I MARTEDI' DALLE 20.00 ALLA SEDE DELL'ASSOCIAZIONE "STEFANO FRAPPORTI" IN VIA CAMPAGNOLE 22.

domenica 26 luglio 2009

Lo arrestano, si impicca in cella

Aveva 50 anni e faceva l’artigiano. Stefano Frapporti era un muratore provetto e stimato, malgrado la sorte disgraziata gli avesse riservato una menomazione ad una mano, massacrata anni fa da un terribile incidente sul lavoro. Con la legge non aveva mai avuto particolari problemi, fino a martedì scorso, quando una pattuglia di carabinieri lo ha fermato mentre percorreva in bici viale Vittoria contestandogli una manovra errata. Perquisito, i militari gli avevano trovato dell’hashish e per andare a fondo della questione lo avevano sottoposto a perquisizione domiciliare. Dai verbali dei carabinieri emerge che a Frapporti sarebbe stato sequestrato oltre un etto di stupefacente. Da qua, l’arresto. Ineccepibile, sotto il profilo del codice di procedura penale: la soglia per sostenere l’uso personale è superata di gran lunga, per la legge. L’artigiano viene dunque accompagnato in carcere. Al mattino viene ritrovato morto dalle guardie, impiccato con le lenzuola in una delle tre celle del reparto Osservazione, dove vengono alloggiati i detenuti in arrivo per dare loro un impatto meno duro con la realtà del carcere. «Sono cose che non dovrebbero mai succedere - commenta Giampaolo Mastrogiuseppe, delegato della Cgil funzione pubblica -. La sera in cui è arrivato in via Prati, il detenuto pareva tranquillo, ha anche scherzato con le guardie. Nulla lasciava presagire ciò che avrebbe fatto. E’ una storia molto triste, ma era difficile da evitare». E’ sempre complicato, per non dire impossibile, capire quali pensieri si agitano nella testa di un’altra persona, anche conoscendola bene. Richiede conoscenza profonda, e anche una dote naturale di empatia. Figurarsi quando si tratta di estranei. Ma non è questo il compito della polizia penitenziaria. «Purtroppo, anche per le note carenze di personale, la vigilanza di notte è affidata a pochissime persone, e fare il giro delle celle significa controllarle ogni ora e mezza, facendo in fretta. Poi, per chi non ha mai vissuto l’esperienza del carcere, l’impatto è duro. La prima notte è molto triste, può essere terribile. E la guardia carceraria non è uno psicologo, non le si può nemmeno chiedere una professionalità di questo genere. Per questo, prima di entrare in cella, ogni detenuto dovrebbe avere un incontro con lo psicologo. E’ previsto dalla legge, ma nell’arco delle 24-48 ore. Troppo tardi, perché lo choc è immediato per chi è stato appena arrestato. Chi soffre in modo intollerabile deve almeno poterlo dire a qualcuno che possa valutarne la capacità di sostenere questo momento difficile». I suicidi in carcere, purtroppo, fanno parte di una triste consuetudine per chi vive “dentro”. «Sono decine all’anno, per la realtà trentina, e centinaia i casi in Italia - spiega Massimiliano Rosa, segretario provinciale del Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria -. Ma sono molti anche i casi in cui i nostri colleghi salvano il detenuto da morte certa, strappandolo in extremis al tentativo di togliersi la vita in cella. Di questo non si dice mai nulla, forse fa poco notizia, ma le cose stanno così». Chi ha seri propositi suicidi si guarda bene dal manifestarli. Tanto meno li confiderebbe alla guardia. Il caso di Frapporti fa riflettere, perchè non si tratta di un “abituale”, come vengono indicati in gergo i delinquenti veri, ma di un artigiano che ha sempre lavorato, conducendo un esistenza piuttosto semplice, fatta di lavoro e di serate al bar con gli amici di sempre. Amici e conoscenti lo tratteggiano come un’ottima persona, taciturno ma di cuore. Chi lo ha conosciuto sul lavoro ne ha apprezzato l’abilità, la precisione e la serietà. La tenacia con cui aveva ripreso a lavorare dopo il grave infortunio gli aveva dato soddisfazione e si era costruito una solida professionalità, riconosciuta da tutto l’ambiente dell’edilizia. Nessuno lo crede un “pusher”, uno che vende droga. Semmai, dicono, un semplice consumatore. Ma la Procura è di diverso avviso, alla luce del quantitativo di hashish squestrato. Forse non sarà stata la grave accusa di spaccio a fargli prendere una decisione così tremenda e definitiva, nella notte tra martedì e mercoledì. Forse altre inquietudini si addensavano nella sua mente, benchè nessuno dei suoi amici se ne fosse accorto. Ma è un’evidenza che quell’atroce scelta sia maturata nell’ambito di una cella della casa circondariale di via Prati, senza che nessuno riuscisse ad accorgersene in tempo per salvargli la vita.

Tratto dal Trentino del 26 luglio 2009

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