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Non si può morire così...
Stefano Frapporti era un muratore di 48 anni. Il 21 luglio 2009 andava in giro in bicicletta quando è stato fermato da due carabinieri in borghese per un'infrazione stradale. Portato in carcere perché sospettato di spaccio non uscirà mai vivo dalla cella.

Questo blog nasce dalla volontà della famiglia di ottenere chiarezza su quel che è successo a Stefano e per chiedere che venga fatta giustizia.



ASSEMBLEA PUBBLICA TUTTI I MARTEDI' DALLE 20.00 ALLA SEDE DELL'ASSOCIAZIONE "STEFANO FRAPPORTI" IN VIA CAMPAGNOLE 22.
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sabato 12 dicembre 2009

I FAMILIARI DI STEFANO CONTESTANO LA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE DA PARTE DEL PROCURATORE DOTT. DE ANGELIS

Sin dall’inizio di questa tragica vicenda noi abbiamo espresso pubblicamente la nostra dubbiosità sull’operato della giustizia, ma in fondo un filo di speranza rimaneva comunque.

Ora anche quel filo è svanito.

Leggendo le motivazioni con le quali è stata richiesta l’archiviazione al caso da parte del dott. De Angelis ci sentiamo veramente delusi, sfiduciati, ma soprattutto offesi per quello che ci è stato accreditato. Così scrive il procuratore: “le considerazioni elencate nella memoria depositata nell’interesse dei fratelli di Frapporti Stefano in cui per un verso si sostiene in punto di diritto l’illegittimità dell’arresto e per altro verso, addirittura, si insinua, in punto di fatto la commissione di gravi delitti ad opera dei carabinieri, con allusioni che rasentano i limiti della calunnia”.

Riguardo a queste considerazioni, ci teniamo a precisare che il nostro comportamento è stato dall’inizio fin troppo corretto, ma rimane evidente che colpiti da un simile dolore nessuno potrà mai vietarci di pensare, dubitare, porci delle domande e di esprimere le nostre perplessità sui tanti lati oscuri che avvolgono questa tragedia.

Per noi la vita ha un valore inestimabile e la morte lascia un grande vuoto incolmabile.

Per questo motivo riteniamo incomprensibile che il dott. De Angelis chieda l’archiviazione, senza aver svolto alcuna indagine sulla parte iniziale di questa vicenda, ossia la più importante: l’arresto di Stefano, sentendo almeno la versione dei testimoni oculari che peraltro danno una versione, sull’operato dei carabinieri, completamente diversa da quella che gli stessi hanno stilato nei verbali.

E’ invece documentato che le uniche indagini sono state effettuate sull’operato delle guardie carcerarie. Ed anche qui apprendiamo versioni che si contraddicono con quelle dichiarateci verbalmente dalle stesse il giorno seguente l’accaduto.

Sarebbero ancora tante le domande senza risposta e non certo di meno importanza ma per il momento ci sembra che bastino…


I fratelli: Ida, Marco e Claudio

mercoledì 26 agosto 2009

Intervista alla sorella di Stefano

Riprendiamo dal blog di Beppe Grillo l'intervista fatta alla sorella Ida.

lunedì 24 agosto 2009

Ida Frapporti scrive a Marco Travaglio

Caro Marco,
per la grande stima che ho in Lei, voglio metterla a conoscenza di una tragedia accaduta il giorno 21/07/2009 a Rovereto (TN), "Città della pace".
Sono la sorella di Stefano Frapporti di anni 49, suicidatosi in carcere dopo circa 20 minuti dalla chiusura all'interno della cella. Mio fratello faceva il muratore da oltre 30 anni, era dipendente di un'impresa edile. Non era sposato e viveva da solo da 4 anni. Ha sempre vissuto con i genitori fino a 4 anni fa quando, dopo quasi una vita di duro lavoro e risparmio, era riuscito a comperarsi un appartamentino solamente con le proprie forze finanziarie. Da otto anni, cioè dalla morte della madre, io per lui come sorella maggiore avevo assunto anche il ruolo di mamma, ero il suo punto di riferimento.
Passiamo ora ai fatti: dopo una dura giornata di lavoro di circa 9 - 10 ore, per caso transitava in bicicletta su un marciapiede in una via di Rovereto. Nei pressi di tale via si trova il bar 'Bibendum' e dal verbale dei carabinieri emerge che loro sospettavano che in quel luogo si potesse acquistare del fumo. Mio fratello viene bloccato in malo modo da due agenti in borghese per aver commesso, con la bicicletta, un'infrazione del codice stradale, tutto questo riportato da testimoni oculari.
In seguito ho solo notizie documentate dai verbali dei carabinieri. Questi ultimi verbalizzano che la perquisizione fisica ha esito negativo. Non essendoci altri testimoni oltre i due agenti, dichiarano gli stessi che mio fratello riferisce volontariamente di possedere presso la propria abitazione due spinelli (RIF. Verbale). Sempre basandomi su l'unica testimonianza verbalizzata dei due agenti, vengo a sapere che con la presenza di mio fratello viene perquisito l'appartamento e lì vengono trovati alcuni pezzetti di hashish del peso complessivo di 99,830 gr. Scatta automaticamente l'arresto, gli inquirenti dichiarano che mio fratello rifiuta di informare i famigliari. Viene trasportato in carcere alle ore 22.30, dalle testimonianze che mi vengono riferite di persona delle guardi carcerarie, addirittura scherzava fino alle 23.30, il momento in cui viene rinchiuso in cella. Da quanto mi è stato riferito dal comandante delle carceri, a quel punto esprime il desiderio di telefonare alla sorella ma questo gli viene negato, poiché aveva già firmato il rifiuto di informare i familiari .
Alle 23.50 viene trovato senza vita, si è impiccato con il cordoncino dei pantaloni della tuta. Noi familiari veniamo avvisati per telefono alle ore 10.00 del giorno seguente. Appena avuta la brutta notizia io stessa con le mie chiavi mi sono recata nella casa di mio fratello. Ero allo oscuro di tutto perché le prime notizie riguardo l'accaduto le ho apprese solo tre giorni dopo la morte. Entrando in casa non ho avuto il minimo sospetto che fosse entrato qualcuno, l'appartamento era in perfetto ordine, oserei dire l'ordine maniacale di mio fratello.
Stefano lascia un padre di 85 anni, io casalinga di 54 anni e madre di due figli e altri due fratelli con famiglia. Il dolore della perdita è grande ma non tanto quanto il mistero che avvolge questa tragica fine.
Non si può morire così e non può passare nel silenzio e nell'indifferenza e accettare che tutto ciò sia "dura normalità".

Ida Frapporti

domenica 2 agosto 2009

Intervista ai familiari di Stefano

Ida è la sorella di Stefano Frapporti 'Cabana'. Gli ha fatto da mamma, per tanti anni. Con i suoi due fratelli ha vissuto tutta la vicenda dell'arresto e del seguente suicidio in carcere con grandissima angoscia. «È morto martedì 21, alle undici e mezza di notte. Ci hanno avvertiti il giorno dopo, alle 10 di mattina, telefonando al papà che ha 85 anni. Era la Polizia penitenziaria, ma nella fretta abbiamo capito solo Polizia, e siamo corsi al Commissariato. Lì ci hanno detto di andare dai Carabinieri. Alla caserma non abbiamo capito niente: noi disperati, loro quasi indispettiti. Non siamo riusciti a farci dire le tre cose che volevamo: «dove, a che ora, come è morto?». Ida ha uno sguardo carico: «Non accuso nessuno, ma sono passate 12 ore dalla sua morte prima di capirci qualcosa. Siamo andati al carcere, le guardie ci hanno spiegato. Abbiamo saputo che era arrivato alle 22,30 e che fino alle 23,30 ha parlato con le guardie. Gli ha spiegato perché gli mancavano due dita. Più tardi il piantone lo ha visto ancora in piedi, gli ha detto di riposare. Lui ha risposto "non ho sonno". Dieci minuti dopo l'hanno trovato morto». I fratelli hanno lo sguardo limpido: «Ci hanno spiegato che gli hanno chiesto se voleva telefonare a qualcuno, a un avvocato, ed ha rifiutato». Alla fine si è impiccato con il cordone della tuta da ginnastica. «Quando era uscito di casa aveva i pantaloni con la cintura - dice Ida - e dopo la perquisizione con i Carabinieri a casa sua si è cambiato, ha messo i pantaloni della tuta.Alla fine ci hanno restituito solo quelli, gli altri vestiti non si sa». I fratelli hanno deciso di rompere il silenzio: «Lo facciamo perché non succeda ad altri». E sono pieni di domande e dolore: «Abbiamo parlato con gente che ha assistito all'arresto. I due carabinieri erano in borghese, ci hanno detto che è stata una scena estremamente violenta». Si riservano di portare i testimoni in tribunale. Addosso a Stefano, in via Campagnole dove transitava in bicicletta, non viene trovato nulla. È pulito. «Poi nei verbali c'è scritto che lo portano a casa sua, per una perquisizione. Ecco - dice Ida - ci piacerebbe vedere il mandato di perquisizione, firmato da un magistrato». Hanno sentito tante voci. «Qualcuno ha detto che è stato cremato senza farcelo vedere. Non è vero: ce l'hanno fatto vedere dopo l'autopsia, il terzo giorno. Era tutto nero. È stato cremato perché ha voluto così il papà, perché potesse essere insieme alla sua mamma». Come hanno vissuto questi giorni? «Con l'affetto di tanta gente, tantissima, che ci ha fatto coraggio. Martedì pare che ci sarà un'altra manifestazione, autorizzata. Ringraziamo tutti, che sia ricordato».

Gigi Zoppello, L'Adige di sabato 1 agosto

Lettera dal padre di Stefano Frapporti

Sono il papà di Stefano Frapporti, ho 85 anni e sono perfettamente consapevole di quello che sto dicendo. In merito all'arresto ed alla morte in carcere di mio figlio, mi sento di esprimere oggi tutti i dubbi e le domande che ogni genitore si porrebbe.
Mio figlio era incensurato, con una fedina penale ineccepibile. Non capisco quindi come, libero cittadino che si fa un giro in bicicletta alla fine di una lunga giornata di lavoro, mio figlio venga fermato da due persone in borghese, in malo modo e con pesanti insulti, come ho avuto modo di apprendere da testimoni oculari dell'evento.
Sono perfettamente al corrente, come ho visto dal verbale dei Carabinieri, che addosso a mio figlio non è stato trovato nulla se non gli effetti personali ed il telefonino.
Come mai una persona così è stata sottoposta a una perquisizione domiciliare senza alcuna assistenza legale o di un testimone? E chi mi dice che quello che dichiarano i Carabinieri è vero, comprese le quantità sequestrate? Perché conoscendo il carattere fragile di mio figlio, so che non lo avrebbe mai sopportato, proprio perché profondamente onesto. E lo conoscevo bene, perché ho vissuto con lui fino a quattro anni fa, nello stesso appartamento.
Sarebbe bastato alle autorità visionare il suo estratto conto bancario per capire l'onestà di Stefano: l'ultimo prelievo bancario l'aveva fatto alla Rurale, ed erano i soldi che aveva in tasca e che non erano certo proventi di spaccio.
Dal momento dell'arrestofino a dopo i funerali, quattro giorni, non ho avuto alcun tipo di informazioni o notizie, se non la dichiarazione di morte.
Vengo a sapere dal verbale dei Carabinieri che gli è stata persino sequestrata in casa una bilancia da cucina, che io stesso gli avevo regalato e avevo comperato alla Lidl. Io personalmente, con il mio paio di chiavi, mi sono recato nel suo appartamento e non c'è alcun segno di perquisizioni.
E non sapremo mai la verità perché gli è stata negata la presenza di un testimone.
Sono consapevole che non avrò mai più indietro mio figlio, ma penso ora al futuro di tanti giovani e persone che potrebbero trovarsi nella stessa situazione, per colpa di una legge. Certi fatti però, oltre che con la legge, andrebbero valutati con l'umanità.
La mia non è una vendetta, Carabinieri e Guardie carcerarie sapranno rispondere alle loro coscienze. C'è solo da implorare il perdono per chi ha sbagliato e sperare che la vita umana, con cui hanno a che fare tutti i giorni, sia sempre davanti a loro.
Mi affido perciò, con grande speranza, alla Giustizia perché mi diatutte le risposte alle domande che ho nel cuore».

Lettera pubblicata su L'Adige di sabato 1 agosto